Una mossa a sorpresa scuote il Paese, poi il ritiro tra proteste e pressioni internazionali
La Corea del Sud, quarta potenza economica asiatica e alleato chiave degli Stati Uniti, ha vissuto momenti di tensione il 2 dicembre, quando il presidente Yoon Suk-yeol ha dichiarato la legge marziale d’emergenza. La decisione, annunciata intorno alle 15 (ora italiana), ha fatto piombare il Paese in uno scenario che ha evocato ombre del passato autoritario e le tensioni con la Corea del Nord.
Accuse al Parlamento e misure drastiche
In un discorso alla Nazione, Yoon ha accusato il Parlamento, controllato dall’opposizione, di ostacolare deliberatamente l’azione del governo e di simpatizzare con il regime comunista di Pyongyang. “Sradicherò le forze filo-nordcoreane e proteggerò l’ordine democratico costituzionale”, ha dichiarato. Il decreto di legge marziale ha immediatamente sospeso le attività parlamentari e dei partiti politici, vietato le manifestazioni e imposto un controllo sui media. Le autorità sono state autorizzate ad arrestare o perquisire i cittadini senza mandato, in un clima di emergenza che ha visto soldati e carri armati schierati nelle strade.
Marcia indietro tra proteste e pressioni internazionali
Tuttavia, la situazione si è capovolta in poche ore. Di fronte alle proteste di piazza, all’opposizione unanime del Parlamento e alle pressioni esercitate dagli Stati Uniti, Yoon ha ritirato la legge marziale in serata. Sebbene la crisi sia rientrata, per un momento il Paese ha rivissuto l’incubo dello stato d’emergenza, ricordando i decenni della dittatura militare e il perenne confronto con il “nemico” nordcoreano.
Un passato che ritorna
L’episodio ha messo in evidenza le tensioni politiche interne alla Corea del Sud e il persistente timore del comunismo agitato da Pyongyang. Per molti, il discorso di Yoon ha richiamato una retorica divisiva, mentre il breve stato d’emergenza ha mostrato quanto siano fragili gli equilibri democratici in un contesto politico polarizzato.
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