La poesia come cura: intervista a Santa Fizzarotti Selvaggi
BARI - Santa Fizzarotti Selvaggi, psicoterapeuta e poetessa di riconosciuto spessore, è una voce autorevole nel dialogo tra medicina, psicologia e umanità. Con la sua lunga esperienza clinica e il suo impegno culturale, ha sempre posto al centro la persona e la complessità dell’essere umano. In questa intervista esploriamo insieme a lei il confine tra etica, scienza e poesia, con uno sguardo alle sfide della medicina moderna.
In un mondo medico sempre più tecnologico e spesso burocratizzato, ritiene che i principi del Giuramento di Ippocrate abbiano ancora rilevanza? Come andrebbero reinterpretati nella contemporaneità?
Ad Ippocrate si deve l’istituzione della medicina come conoscenza e scienza: ad Ippocrate si deve la prassi medica occidentale che permise l’emergere di una diversa immagine dell’essere medico con l’invito al massimo rispetto del paziente, alla rivalutazione del rapporto umano tra medico e paziente, che si rende necessario in virtù di uno stato di malattia che richiede la più totale fiducia e profonda interazione. La scuola ippocratica liberò il medico dall’atmosfera sciamanica, restituendolo alla sua umanità e contemporaneamente rendendolo scienziato, ma automaticamente e inconsapevolmente facendolo prigioniero della sua stessa impotenza dinanzi alla sofferenza del paziente, sofferenza che tenta di lenire, ma che a volte nega per non dover affrontare il suo stesso dolore.
Non si dimentichi che Ippocrate ha affermato che “Le malattie che sfuggono al cuore divorano il corpo.” Il corpo evidentemente di tutti. Egli non trascurava l’anamnesi, l’ambiente e l’ereditarietà. Nel Giuramento vi sono le fondazioni di quella che oggi si indica come bioetica e la natura del rapporto medico-paziente che trascende la scienza pur avvalendosi di questa. Si rammenti che il codice ippocratico rifiutava l’aborto. Nelle sue affermazioni possiamo ravvisare come fondamentale sia il paziente nella sua unitarietà di corpo e mente, fatta di vissuti ed emozioni che mutano in relazione alle dinamiche determinate dal medico, ovviamente differenti a seconda che si tratti di uomini, donne, anziani, giovani, di qualsiasi etnia o condizione ambientale e sociale.
Nel Giuramento incontriamo il paziente nel rapporto con il suo medico in grado di comprendere il sintomo, l’intimo e inevitabile rapporto tra il dolore fisico e la sofferenza psichica, all’interno del quale l’identità del medico appare l’elemento centrale per poter sostenere e contenere il paziente prendendosene cura. Di qui la necessità assoluta del medico di saper ascoltare profondamente le parole del paziente, i gesti, lo sguardo, l’espressione del volto, la postura, il non detto e quant’altro appartenga a quel determinato paziente e non ad altri. Non c’è “intelligenza artificiale” o robot che tengano di fronte al vero rapporto medico-paziente e alle emozioni attraversate da questo rapporto.
Concorda con l’affermazione che occorra “umanizzare” la medicina? Come si può realizzare concretamente questa trasformazione senza sacrificare i progressi tecnologici?
Onestamente penso sia necessario riflettere sul fatto che la medicina è una conoscenza le cui radici affondano nell’umano come tale e, in tal senso, è parte delle scienze umane e della cultura umanistica. Non condivido dunque questa sorta di slogan di “umanizzare” la medicina perché lo è per statuto. Né intendo cedere alla trappola del “disumano” se non per considerare in modo attento l’emergere del “pre-umano in noi”. Se mai si tratta di considerare il rapporto medico-paziente alla luce delle nuove istanze e tentazioni tecnologiche in una realtà che tende a negare il dolore e la malattia in nome di una “qualità della vita” che finisce per scotomizzare proprio il paziente come persona con la sua storia.
Sta accadendo ciò che è sempre stato . tra lo stupore, l’uso e l’abuso. Il problema è sempre la centralità dell’ essere umano e dell’uso che fa degli strumenti. Un coltello da cucina è utile per tagliare il pane , la carne o altro ma può anche facilitare gesti estremi. Come ho più volte affermato gli strumenti sono estensioni del nostro corpo: oggi è di moda riempirsi di frasi fatte circa la cosiddetta “Intelligenza artificiale” che invero trattasi di macchine che apprendono e che potranno anche essere generative nella misura in cui noi stessi le programmassimo come tali.
“Il vigoroso avanzamento tecnologico rende l'intelligenza artificiale uno strumento affascinante e tremendo al tempo stesso ed impone una riflessione all'altezza della situazione”, ha detto Papa Francesco nei suoi 20 minuti di intervento al tavolo con i grandi della Terra al G7 in Puglia. 14 giugno 2024. Delegare alla macchine totalmente ci renderà privi di ogni libertà di pensare e di creare.
Un chirurgo che sapesse usare solo la robotica non sarebbe più un chirurgo, capace, come da etimo, appunto di usare le mani in modo appropriato per curare l’ammalato, ma un operatore meccanico. E se immaginassimo il momento in cui il Robot non dovesse funzionare per un qualsiasi motivo, quale sarebbe il destino del paziente?
“La mano – scrive la Montessori - è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza: essa è l’organo della mente”… E ciò che la mano fa la mente ricorda “”. E qui si apre un vasto capitolo sulla sensorialità di cui potremmo discutere in un altro momento.
I grandi telescopi ci permettono la visione più ampia dei cieli ma le stelle , di cui catturano la luce non mutano molto di dimensioni perché rimangono puntiformi “.Nel mondo delle “macchine”, estensioni del nostro corpo con le quali siamo inesorabilmente costretti a co-abitare si mantiene l’illusione di non essere prigionieri della “carne” e si “pretende” di essere condotti nella dimensione dell’immortalità, di vedere oltre il visibile…. Come quando le braccia rassicuranti della madre che sostengono il bambino gli danno l’illusione di potersi muovere autonomamente nello spazio. Ma l’“inorganico macchinale” potrà mai confermare l’ipotesi che troviamo espressa nel pensiero di Giordano Bruno, quando quest’ultimo sostiene che: «la medesima specie, per impulso della materia, allunga la sua forma e la piega come in uno specchio ricurvo»? E d’altra parte gli “esseri-replicanti”, gli “esseri-robot” ed altri simili, potranno mai ritrovare dentro di sé la scintilla dell’organizzazione della vita e al tempo stesso incontrare la morte quale paradossale condizione necessaria alla continuità della specie? (Cfr., S. Fizzarotti Selvaggi Il colore della mente, Schena Editore, 2004). Le macchine sono un grande ausilio ma non dobbiamo cedere alla tentazione di abbandonarci alle macchine delegando le nostre funzioni. E come si legge in J-B de Lamarck e non solo: “La funzione crea (o sviluppa) l’organo“ . Il rapporto Medico – Paziente viene del tutto svilito nella sua eticità e umanità di fondo da questo euforico delegare agli strumenti diagnostici, utilissimi certo ma non sostitutivi dello sguardo, del tocco, della parola e dell’intelligere del medico.
La scienza deve andare sempre oltre e sempre al servizio della conoscenza perché nella celebre terzina di Dante si legge “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza", laddove la conoscenza non è disgiunta dalla massima delle “ virtù” cioè l’Amore. Per statuto la scienza è neutrale ed è sempre una verità relativa poiché in continuo divenire, “procede per approssimazioni successive (Cfr. K. Popper). ma l’essere umano in quanto tale, governato spesso da forze inconsce ingovernabili, non è neutrale e può usare le meravigliose scoperte scientifiche in modo assai improprio sostenuto dall’illusione narcisistica di essere Dio . Il mito di Prometeo ci insegna tante cose come il Genesi nelle Sacre Scritture bibliche. Il bambino con la maternità surrogata, che apre orizzonti straordinari della conoscenza del mistero della vita, viene però abusato sin dal concepimento con tutti i problemi di natura psichica che ne derivano. E dunque ne consegue che non abbiamo il diritto di usare e abusare il bambino. Gli antichi Greci sostenevano che le radici del futuro sono profonde e sottolineavano che il futuro bambino nasce con lo stato d'animo dei genitori prima del concepimento. Non dimentichiamo che Edipo si recò dalla Pizia alla ricerca di se stesso e della sua stirpe. Coloro che si prestano a tali pratiche si chiedano cosa invero vogliono da se stessi così persi nel narcisismo eccessivo in nome di una maternità che rimane un atto di profondo egoismo. È molto difficile vivere all’interno di questo contesto storico e sociale, spesso doloroso e per alcuni aspetti inquietante, talvolta terrifico: ma nel mondo il dolore cammina insieme alla speranza e alla gioia di maternità non solo biologiche, ma simboliche, sociali, generative di orizzonti nuovi.
Sono assolutamente contraria al suicidio assistito. Comprendo che il soffrire può indurre ciascuno di noi a pensieri di morte, di farla finita per liberarsi dalla sofferenza più atroce, ma il desiderio di voler morire non è invero tale perché cela il desiderio di cambiare vita, di stare bene. Al di là delle considerazioni dell’uso che di tale “suicidio assistito” potrebbe essere fatto da coloro che per motivi vari preferirebbero disfarsi del congiunto… In un’epoca che celebra la mediaticità virtuale e scivola verso il corpo bionico, assemblato, intercambiabile, trasformabile e postorganico, tanto da diventare un “corpo Altro”, un “cybercorpo” estraneo finanche a se stesso, ostile, oltre che per alcuni aspetti “introvabile”, sarebbe essenziale ribadire la possibilità di riscoprire il “corpo senziente” nella sua interezza, un “ corpo“ che vorrebbe star meglio e non finire in un inceneritore o al Camposanto in compagnia di altre creature.
I fattori sono molteplici e risulta davvero complesso analizzare il cambiamento epocale delle relazioni umane in genere a volte disancorate dalla realtà. Il cosiddetto progresso e la ricerca fondata sulla specializzazione tanto da parcellizzare il corpo ha fatto sì che lo specialista a volte non prende in considerazione l’interezza del paziente talora non inviato dal medico di base che dovrebbe seguire il paziente e la famiglia del paziente : mi riferisco all’idea del “medico di famiglia” ora credo ritiratosi in soffitta tranne che per alcuni casi della scienza medica che, nel corso dei secoli, ha sviluppato determinate teorie sulla natura della malattia". Furono i Cnidi a definire la medicina come "techne" ed a sottolineare l'importanza del "segno" e “la necessità dell'anamnesi e della prognosi”. Ma è stato Balint ad invitare a riflettere intorno alla storia individuale della persona, del paziente nei suoi primi due anni di vita, anzi nei primi mesi di vita. Al di là della malattia c'è sempre un problema, un conflitto, una sofferenza... e pertanto una domanda. Mi accorgo che oggi il medico delega in fretta agli strumenti diagnostici quando in realtà si tratta , di imparare ad ascoltare l'Altro attraverso l'ascolto profondo di sé. Scoprire che il proprio corpo è malato, che non si è indistruttibili necessita dell’ascolto del medico al quale si chiede di essere curati e se possibile di essere guariti. Osservo che in alcune situazioni e luoghi di cura il medico comunica al paziente oncologico la sua fine: si tratta di una crudeltà senza limiti inducendo allo sgretolamento delle ultime difese del paziente. In tal modo, mi dispiace dirlo, è il medico che firma la disfatta della sua identità di Medico. Le aggressioni alle quali purtroppo assistiamo ci comunicano che “la funzione apostolica“ del medico (Cfr .M. Balint) ha abdicato alla medicina difensiva, alla “funzione consumistica“ della vita dell’Altro in nome dei DRG e del profitto a tutti i costi. E non credo che si possa pensare a medici cristiani, ortodossi ,cattolici, islamici, induisti e così via: il medico ha per suo stesso statuto dalle radici ippocratiche la sua precipua identità di medico a prescindere… Il chirurgo Ferdinando Palasciano nei moti di Messina (1848) sui campi di battaglia ebbe a dire “non è più un nemico il ferito di guerra“!
Sono molto grata a mio marito Francesco Paolo Selvaggi che mi ha sempre fatto partecipare ai Congressi di Urologia e Trapiantologia nazionali ed internazionali ai quali era ed è spesso relatore o moderatore. Ho imparato tante cose , ho scoperto orizzonti nuovi della scienza medica e dell’essere umano. Incontri significativi sono stati tanti : a Londra, a Sidney, a Osaka, a New York, Los Angeles, New Orleans, Dallas, Canada, Sud e Centro America, Egitto, Marocco, Nairobi, Hong Kog, tutti i Paesi europei e così via… invero in tutto il mondo… Ma in me è rimasto impresso l’insegnamento di Thomas Starzl (Le Mars, 11 marzo 1926 – Pittsburgh, 4 marzo 2017) il chirurgo trapiantatore di fegato a causa di un suo libro “The Puzzle People: Memoirs Of A Transplant Surgeon.” L’”uomo a pezzi”, la cui identità è messa in gioco con gli interventi di trapianto ma una identità che solo il medico può ricomporre e sostenere. Se lo ricordino sempre i medici… quando in un momento di emergenza dicono che non possono subito soccorrere perché impegnati in altro e non provvedono a far giungere un assistente o un infermiere! E’ accaduto anche a me per ben due volte: un problema odontoiatrico e un episodio vagale. Urge per alcuni ritrovare l’Identità medica perduta tra altri sentieri.
Ripeto che non sarò mai grata abbastanza a mio marito Francesco e anche ai grandi maestri che ho incontrato sulla mia strada: Lidia De Rita, Marisa Davy, Angelo Riccio , Giovanni Dello Russo, Luisa Mele, Gabriella Ripa di Meana, Jennie e Paul Lemoine (primi allievi di Lacan), Adriano Giannotti, Andreas Giannakoulas, Max Hernandez e così via... o colleghi come Gianni Losito con il quale il dialogo è stato quotidiano per oltre trenta anni condividendo l’idea che non si può essere psicoanalisti se non si è umanisti, se non si studiano i classici greci, la letteratura, la poesia e le arti. Questione di fortuna davvero. Francesco ha creduto in me e io ho posto la mia formazione di psicodiagnosta Rorchach, psicologo clinico e psicoterapeuta con formazione psicoanalitica al servizio non solo della riflessione sul rapporto Medico - Paziente in strutture pubbliche e private ma anche problematiche d’ avanguarde come gli aspetti culturali e psicologici della donazione di organi a scopo di trapianto affrontando tematiche assai complesse con i rianimatori e le associazioni preposte, i molteplici aspetti di coloro che chiedono l’adeguamento di sesso, il rapporto con il paziente neoplastico e con il traumatizzato in Pronto soccorso, il counselling psicodinamico, il delicato e difficile rapporto Maestro Allievo e così via… Ho pubblicato articoli e vari libri su tali argomenti, lavori tradotti in diverse lingue che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali. Ecco a mio marito devo davvero esperienze uniche e straordinarie.