Libri: 'Parachrom'

DELIO DE MARTINO - In un mondo in corsa verso la digitalizzazione e la smaterializzazione di ogni medium e dei prodotti artistici, il titolo dell’ultima silloge poetica di Sergio D’Amaro Parachrom (DiFelice Edizioni, Martinsicuro, 2024) colpisce per la sua icastica concretezza.

Parachrom è infatti una particolare spirale meccanica inventata dalla più tradizionale e lussuosa marca svizzera di orologi: Parachrom è una parola macedonia composta da “Paragmanetico” (una forma particolare di magnetismo del materiale) e “Chrom” colore (dal greco khrôma) e indica una speciale lega utilizzata nei meccanismi interni e un brevetto della Rolex.

Status symbol e insieme oggetto da collezione d’altri tempi il Parachrom diventa in chiave poetica la porta verso un mondo di ricordi impalpabili ma legati ad un tempo liquido quasi in antitesi con la precisione del meccanismo tecnico.

Se ormai anche l’industria dell’orologio ha preso una svolta digitale, tanto che il più rinomato degli smartwatch vende più di tutta l’industria svizzera, il titolo Parachrom riporta il lettore in un mondo analogico, fatto di meccanismi, di oggetti e di precisi movimenti che però da una prospettiva poetica diventano simboli di richiami allo stesso tempo precisi come la lancetta di un orologio ma evocativi di tempi lontani e soggettivi, sfumati ma in grado di gettare luce sul presente.

In definitiva l’orologio meccanico segmenta precisamente, come scrive Vincenzo Guarracino nella sua prefazione, “le tappe stesse del destino, del Fato, inteso come vita”, che tenta di sottrarre il “mistero dell’esistenza individuale” all’insensatezza “del suo effimero flusso eracliteo”.

Insomma il Parachrom tenta, con la sua precisione, di porre un argine a un panta rhei che rischia di cancellare memoria ed emozioni in un buco nero.

Nella lirica Anita in bianco e nero emerge l’essenza profonda e quasi esoterica di questo meccanismo che tende al proustiano tempo perduto, un ingranaggio che ossimoricamente si muove ma è allo stesso tempo immobile: “il parachrom si è fermato su quel tempo oscillando sui volti in bianco e nero”, ma “oscilla tremante” e se si sganciasse dal perno e si lasciasse toccare potrebbe essere in grado di “vederci chiaro nello scuro degli attimi”.

La silloge si divide in tre parti, quanti sono i quadranti secondari del Rolex e i pulsanti di un classico orologio (la corona principale e i due pulsanti).

La prima parte, intitolata Frammenti, richiama la stessa etimologia di tempo. Come ricorda il poeta nell’introduzione, tempus deriva da témno (taglio, separo), proprio perché separa momenti altrimenti inscindibili e destinati a perdersi in un continuum senza riferimenti crono-topici.

Con un preludio che evoca l’infanzia attraverso una domanda rivolta al lettore (quale tempo ci fu / quando per la prima volta gettasti gli occhi sul mare / senza sapere che fosse il mondo, che fosse la vita?). L’infanzia del poeta si caratterizza non per l’incapacità di parlare (in-fante) ma per quella di misurare il tempo con lo strumento tecnologico (non avevi orologi / né quadranti), ma di ascoltare (solo aurore rosate e canne fruscianti / un rumore lontano di risacca). Al Preludio seguono 6 frammenti in cui a partire dal gesto di dare “corda all’orologio”, un’azione che dà senso allo scorrere del tempo, si condensano scaglie temporali che attraverso una logica multisensoriale raccontano il viaggio della vita. Il tatto (“La mano che crea la spirale”), la vista (“l’occhio che corteggia l’orizzonte”), l’udito (“lascia che il vento ti parli”) sono sinestesie di una temporalità impalpabile, di un cronotopo sfuggente ed evocativo. In particolare è la metafora del viaggio in mare che si dipana in questa sezione con la ricchezza e imprevedibilità dell’imbarcarsi. “Va la navicella su picciol mare” è l’incipit del secondo frammento che ricorda il celeberrimo secondo verso del Purgatorio e la celebre “navicella del mio ingegno”. Un viaggio per mare ora sereno ora tormentato tra sogni, gorghi e piogge diviene metafora anche del tempo, il quale “si stampa in una storia breve che / va diritta o storta alla sua foce”.

Se questa sezione è strutturata con versi rapidi e precisi come lo scorrere della lancetta dei secondi sul quadrante, la seconda sezione Scampoli segue un andamento più disteso, come quello dello scorrere dei minuti. In questa parte il poeta si concentra su situazioni specifiche o oggetti particolarmente evocativi che condensano un vissuto. Le 20 poesie (un terzo dei minuti contenuti in un’ora) illustrano ritagli di tempo legati ad emozioni o emblematici oggetti del passato. Tutti gli oggetti citati sono, come il Parachrom, analogici e richiamano dei cronotopi narrativi e poetici della biografia dell’autore: dalle vaschette di matite d’infanzia al giradischi fino all’orologio.

Tra i diversi oggetti risalta per la forza evocativa metaletteraria la Lettera 32, la celeberrima macchina da scrivere di Adriano Olivetti prodotta nel 1963. Il rapporto intimo e fisico con lo strumento analogico si lega all’aspirazione di comporre un “bel capolavoro”, con un approccio ben lontano dagli attuali computer, muti e più avari del furor poeticus che solo l’Olivetti, macchina non digitale (“niente bit niente numeri binari / solo tac martellando con furore”) poteva davvero garantire. “Il medium è il messaggio” afferma Marshall McLuhan e quindi la lirica si può leggere quasi come una dichiarazione di poetica e di amore per un tipo di arte “analogica” che non si può più realizzare perché la macchina da scrivere è arrivata alla “pensione” a causa dell’inceppamento del “carrello”. Nonostante i vantaggi del computer quale moderno metamedium capace di contenere tutti gli altri e di correggere i testi rapidamente (“quanti errori sfuggiti alle battute”), il poeta riporta indietro le lancette dell’orologio della memoria per celebrare l’intimissimo e quasi carnale rapporto con la “dattiloperfetta”, una macchina da scrivere che si rivela multisensoriale più di tutti i linguaggi digitali. “Bianco extrastrong”, “spinta con la leva del carrello”, “il tasto velocista tutto rosso”, “design carezzevole”, “nastro che scorre tra le ruote” ne fanno un oggetto simbolico ed emblematico quasi come l’orologio.

In questa sezione di scampoli trovano spazio anche frammenti di ipertestualità che l’autore dissemina nel tempo segnato dalle lancette dell’orologio e che costituiscono una raffinata filigrana di ricordi. In primis la letteratura per bambini riecheggia in Favole materne, dove la diegesi di Cappuccetto rosso, consente di bloccare i meccanismi di Parachrom e la creatività permette le analessi e le prolessi temporali quando il lupo “andava ormai a ritroso”, “il tempo era fermo […] nell’eco dei boschi”. All’opposto il tempo di A letto con Pinocchio accelera nell’esplicito incipit: “Svelto! Pinocchio ci attende a letto”. Pinocchio con l’intero suo immaginario letterario, dal grillo parlante al gatto e alla volpe, si incrocia alle memorie del tempo della scuola degli anni ‘60, “la scuola ancora a cartelle”, tradizionale e lontana dalle divisive querelle sull’opportunità di sostituire i libri con il digitale o meno. Tanto che l’antologia citata nell’omonima lirica è rigidamente cartacea aperta sulla “pargoletta mano” di Carducci e con il segnalibro giallo che non può non ricordare le leopardiane “sudate carte” e da cui imparare a memoria Il cinque maggio manzoniano.

Cruciale è per il tema l’ultima poesia della sezione. L’emblematico orologio si trasforma quasi in metafora dell’universo, di un cosmo in cui “niente è a caso” nelle immense galassie, dall’orologiaio fino alle più piccole rotelle del Parachrom.

L’ultima sezione è quella in cui l’autore si apre allo sperimentalismo linguistico incrociando le memorie con un presente colonizzato anche linguisticamente dal consumismo. Se già nella precedente sezione l’autore si era aperto ad altri media come la musica (Battisti), il cinema (Fellini) l’ultima parte inizia con una poesia dedicata al brano Imagine di John Lennon che apre la strada ad altri titoli che fanno dialogare presente e passato. In Noli touch me, titolo che attraverso un solecismo richiama la tecnologia multitouch dell’iPhone che ha inaugurato l’epoca post-pc, il cortocircuito poetico fa dialogare citazioni evangeliche e di Sant’Agostino con la crudezza del linguaggio povero della globalizzazione che ha come idoli “la carne grassa“ e gli “algoritmi”. In sostanza un “antilogos” che risucchia la tradizione sull’altare di nuovi miti dell’American dream, titolo di una successiva lirica. Qui il poeta con una metrica che ormai ha abbandonato la pretesa di richiamare la tradizione in favore di una sorta di prosa più simile al flusso di coscienza riflette su come il mito americano si è innestato portando alla “allucinazione del progresso illimitato”. La silloge si conclude con La mia generazione, una sorta di testamento per le future generazioni invitate nell’explicit a recuperare “delle memorie nel rebus ormai liquido del mondo”.

Nel complesso con quest’opera D’Amaro si inserisce in una tradizione che fa dell’orologio una potente metafora di cui scrittori di ogni epoca si sono serviti per descrivere l’ordine e il disordine del proprio mondo e della propria epoca. Nel volume Oggetti della letteratura italiana (a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi, Roma, Carocci, 2010) Daniela Baroncini dedica un capitolo proprio all’orologio e alle sue diverse raffigurazioni creative.

La tradizione letteraria italiana dell’orologio affonda le radici fino al divino poeta, che per primo in tre terzine del Paradiso (X, 139-148) paragonò la precisione dei meccanismi dell’orologio alla perfetta armonia degli spiriti gloriosi per poi diventare un vero e proprio topos letterario ripreso da una pletora di autori per narrare emozioni diverse ma sempre profonde, come il presentimento del declino nel tempo naturale armonioso nel dannunziano La sabbia del tempo e all’esaurirsi del fluido vitale nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa fino all’orologio bloccato di Carlo Levi nel romanzo L’orologio.

L’orologio diventa un simbolo così potente che Manganelli arriva a definirlo un vero e proprio genere letterario quando scrive che “Gli orologi a ben considerare sono un genere letterario” in quanto “Sono scritti, sono eventuali, sono dei contenitori deserti, segneranno l’ora della nostra nascita, del primo innamoramento, della guerra e della morte”.

In questo contesto Parachrom rappresenta un tentativo di scendere sotto il quadrante dell’orologio per indagare le spirali poetiche più profonde.