Già un successo “Il dono dell’amore” di Raffaele Nigro per ‘La nave di Teseo’

LIVALCA - Avevamo lasciato lo scrittore-romanziere Nigro Raffaele, a fine 2021, dopo esserci ‘sorbiti’ 751 pagine de “Il cuoco dell’imperatore”, chiaramente un atto d’amore - il ‘dono’ è recente! - nei riguardi di Federico II di Svevia. Il 13 dicembre 2024, sempre per lo stesso editore “La nave di Teseo”, che vede direttore generale ed editoriale Elisabetta Sgarbi, ha pubblicato un romanzo di appena 423 pagine dal titolo illuminante-esplicativo “Il dono dell’amore”.

L’ennesimo romanzo, di uno degli autori contemporanei più premiati, risulta ambientato nella Puglia del 2012 e anni seguenti, con nome e cognome di persone realmente esistite ed esistenti ancora (qualche ‘maligno-buono’ dei suoi tanti amici afferma che trattasi di trovata per assicurarsi in partenza un numero di copie vendute - la curiosità non ha sesso - ed evitare di acquistarne qualcuna lui da ‘omaggiare’), ma come sempre la verità spesso è una ‘mescola’ di piccole falsità.

Raffaele oggi è un autore di successo che, come quasi tutti i grandi, è soggetto a quelle crisi che ti portano a considerare gli altri un ‘contorno’, ma, a fine ‘pranzo’, è disposto a prendere con te il dolce o il gelato … ininfluente chi saldi il conto. Procediamo con ordine: se inizi a leggere il libro, senza sapere chi sia l’autore, difficilmente puoi collegarlo all’uomo nato a Melfi, ma adottato da mezzo secolo dalla Bari migliore, perché Raf fa pronunciare al protagonista del volume, Marsilio Da Ponte, unico nome che sembra - solo apparentemente, come proverò a dimostrare più avanti - non trovare riscontro nella realtà, queste parole: “Che bella città è Bari, anche quando spirano il maestrale o la tramontana dai Balcani”, per poi aggiungere “Purtroppo priva d’amore per la cultura e con i piedi nel mare”. Il capitoletto che si trova alle pagine 16 e 17, e che titola ‘Bari’, si conclude con un periodo in cui l’ultimo termine è ‘depressione’… al lettore imparziale, dopo aver letto tutto il libro, esprimere un giudizio di avallo o confutazione.

Indiscussi protagonisti della storia contemporanea ‘nigrana’ sono: Beppe Labianca ‘Picasso’ e Michele Damiani ‘Chagall’, ma è su quel Marsilio Da Ponte che mi soffermerò per dimostrare come anche quel nome e cognome facciano parte della complessa esistenza di colui che abbandonati “I PIANTATORI DI LUNE” (Rizzoli, 1991), dimenticati gli insegnamenti del “DIO DI LEVANTE” (Mondadori, 1994), approdò felicemente a redigere quel “DIARIO MEDITERRANEO (Laterza, 2001), che fu il giusto preludio a quella “MALVAROSA” (Rizzoli, 2005) che vide il giovane apatico metapontino Eustà non riuscire a sfruttare la sua sensibilità olfattiva, perché deluso dall’ambiente in cui viveva.

Analizziamo Marsilio Da Ponte: Marsilio, nota casa editrice veneziana da sempre legata al nome della famiglia De Michelis, e Da Ponte Lorenzo (alla nascita Emanuele Conegliano) un israelita che vide la luce a Vittorio Veneto nel 1749 e che, all’età di 24 anni, si convertì al cristianesimo prendendo gli ordini sacri; nonostante fosse un uomo di profonda cultura, condusse una vita licenziosa e difficoltosa sotto l’aspetto economico, ma ciò non gli impedì di conoscere a Vienna prima Salieri e poi Mozart, per cui scrisse i libretti di “Don Giovanni”, “Le nozze di Figaro” e “Così fan tutte”. Aleramo Lanapoppi (Venezia, 1939) è colui che ha scritto il volume “Lorenzo Da Ponte. Realtà e leggenda nella vita del librettista di Mozart” (Marsilio, 1992).

Il volume di Nigro “Il cuoco dell’imperatore” (La nave di Teseo, 2021) era dedicato al noto giornalista, saggista e critico letterario Walter Pedullà, recentemente scomparso, con delle parole di profondo affetto: “ a Walter Pedullà amico e maestro che ha attraversato con ironia e acume critico il Novecento italiano”. Ritengo che il calabrese Pedullà, nativo di Siderno, dal posto privilegiato in cui ora si trova, avrà ‘letto’ con immenso piacere l’articolo apparso il 2 gennaio di quest’anno su ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’ dal titolo “Pedullà, ricordo del critico con mille vite”: il Raffaele migliore (cuore lucano, senza ‘pacemaker’) ripensa all’amico conosciuto nell’edizione del premio Campiello ’targato’ 1988, il quale divenne presidente RAI per 17 mesi tra il 1992-1993, non tralasciando di citare la moglie Anna Maria, nativa di Salerno, il figlio Gabriele e la nipotina Emilia.

Il recente volume “Il dono dell’amore” porta questa dedica “a Beppe Labianca che ha preso un’altra strada”: carissimo Raf potrei citarti una frase dello scrittore irlandese George Moore (morto a Londra nel 1933) e che era anche un discreto pittore dilettante “La strada sbagliata si presenta sempre come la più ragionevole”, ma preferisco ricordarti che di questo autore hai letto Esther Waters (storia di una suora con un figlio da allevare) per cui nessuno sa meglio di NOI che la strada intrapresa da Beppe è un privilegio che toccherà tutti, sia ai ‘discepoli’ di Seneca “Nessuno muore prima della sua ora”, sia agli ‘adepti’ di Petrarca, di cui fai giustamente parte, “Un bel morire tutta la vita onora”.

Nel capitoletto - il libro di Raffaele ne conta 93 - dal titolo ‘Storia controversa della felicità’ Raf-Marsilio ci regala queste parole affidate a Beppe Labianca: “Non ho saputo insegnare ai miei studenti, figurati se posso dare lezioni di vita. Mi astraggo, mi chiudo in un mondo che è il mio mondo, come un astronauta che guarda la terra da un’orbita fuori dalla terra, in un tempo fuori dal tempo”.

Ho conosciuto Labianca nel 1986: lo condusse da noi Vito Maurogiovanni perché aveva disegnato l’acquerello che andò in copertina e i disegni che accompagnarono il libro “Nel tempo dei silenzi e dei camini” (Levante, 1986) e fu molto parco quando gli chiesi dei riferimenti da mettere in ultima di copertina: “Labianca Beppe, docente al Liceo Artistico di Bari, vive ed opera nel capoluogo pugliese”.

Anni dopo per il volume curato da Francesco De Martino “Medea in via Arpi” (Levante, 2005) lui fu uno dei dodici artisti che parteciparono ad una mostra organizzata dal Laboratorio Mu.S.A dell’Università degli Studi di Foggia: presentò due dipinti ad olio ed una scultura molto bella - sagoma in legno, gesso acrilico, carboncino, bruciature, cm. 30x180 - a tal punto che, quando venne a ritirare copie del libro, gli riferii della concreta ‘presenza’ di un potenziale acquirente. Non risultò interessato, ma controllò subito se vi fosse la seguente scritta: “La sua ultima produzione ha trovato in Raffaele Nigro un suggestivo ed importante mentore”. Gli feci notare che vi era il nome del figlio Alessandro, che aveva collaborato alla realizzazione della mostra.

Ritornò a trovarmi nell’estate del 2020, ma non ho potuto soddisfare la sua richiesta, anche se mi sono prodigato per aiutarlo a portare in porto la missione. Quest’ultimo Labianca mi è parso un uomo stanco, ma sempre attaccato al suo lavoro di artista e di capo famiglia. Non so perché pensando al pittore scultore mi è venuto in mente uno dei periodi più lirici ed onesti del romanzo di Raffaele: “Un cielo così terso e ricco non l’ho mai visto, se non in certi boschi della Lucania interna”. Caro Beppe continua a dipingere: in Cielo si può senza le piccole malizie- vanità terrene, non a caso quel William nato il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon ci ha lasciato: “C’è ancora il cielo sopra tutti noi: vi siede un giudice che nessun re può corrompere”.

Michele Damiani nel romanzo di Raffaele è l’uomo della saggezza-concretezza: l’individuo che ha deciso di essere artista dalla mattina alla sera, tutti i giorni dell’anno, emettendo con la sua voce calda ed inconfondibile solo parole di speranza e amore per la vita. Michele, dal padre che lavorava presso la Raffineria Stanic, ha ereditato il rispetto per il mestiere, fatto di serietà e dedizione: la stessa che ha messo nei suoi lavori artistici, compreso libri in cui ha voluto esternare le sue riflessioni, il suo amore per ogni forma d’arte. Delle sue pubblicazioni cito “La memoria prestata” (Progedit, 2009), “Rime parigine” (Schena, 2013), “Perfette imperfezioni” (Progedit, 2017), “Quasi un battito di ciglia” (Progedit, 2021) “Di quel poco che resta” (Progedit, 2014 ?) e altri che mi sfuggono al momento.

“Michele è più razionale. Ha famiglia ed è il suo impegno primario. Ha sposato la pittura come mezzo di sostentamento e lavora giorno e notte per pagare le bollette. Con difficoltà incredibili” in questo modo Marsilio Da Ponte si fonde in Raffaele Nigro per rendere omaggio all’amico Damiani: l’uomo che riflette alcuni secondi prima di emettere suoni gutturali (Raf invece ti chiama e resta in silenzio: tu sai che se ti ha cercato e perché vi è una ‘preghiera’, e non per sapere come stai e se va tutto bene; in quella snervante attesa tu cerchi di riempire i silenzi con concetti ‘profondi’, che lui poco ascolta, e poi finalmente … si RIVELA a te). Damiani è sposato con una donna di grande valore, Marcella, che gli ha permesso di fare l’artista senza se o ma: questa gentile signora ha un fratello di nome Guido, che un giorno mi è venuto a ringraziare ed abbracciare per una semplice telefonata che avrei fatto per chiunque: il solo ricordo dell’episodio mi commuove e mi invita a considerazioni-valutazioni tipo… lasciamo a figli e nipoti un mondo in cui la gente perbene non sarà mai minoranza.

“In accademia finalmente incontro Vitino Lamorgese, nell’ora di ricreazione. Così giovane già perde i capelli. Gli offro una bibita”: Marsilio-Raf tu mai capirai che perdere i capelli in giovane età è una forma di seria indagine - oggi screening - scientifica che tu e Francesco De Martino difficilmente riuscirete a ‘fare vostra’, nonostante l’amico Nino con silenzio e amicizia provi una difficile erudizione.

Nigro con una trovata che non so quanto apprezzerà Francesco Nicassio, scomparso nel 2012, dopo essere stato un uomo buono ed integerrimo, poeta di buon livello, animatore culturale attento ad ogni sfumatura e sindaco di Adelfia dal 2001 al 2010, quando per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri il comune fu sciolto e fu nominato un commissario. Ciellino, in questo modo lo conoscevano tutti, difficilmente avrebbe potuto fare il commercialista dell’azienda del padre di Marsilio Da Ponte: Nicassio i conti li sapeva fare e prima cosa avrebbe invitato i quattro figli di Agostino Da Ponte … a non essere ‘parassiti’. Spiegazione difficile per chi ha potuto usufruire … “di tutto di più” grazie ad un ‘canone’ da tutti pagato.

Di Stavros Asimakopulos, altro protagonista del volume di Raf, in circolazione è difficile trovarli, soprattutto così disinteressati all’investimento improduttivo, ma sta al lettore attento cogliere le sfumature che Nigro semina con dovizia di particolari e poi va già al ‘raccolto’ senza attendere i tempi canonici… qualcuno ha detto che, a volte, argomentando di morale, bisogna evitare che la virtù risieda in atti indifferenti: niger, nigra, nigrum evita accuratamente la ‘selva oscura’. Thenia la protagonista del dono dell’amore ha dovuto attendere che sparissero dall’orizzonte “I fuochi del Basento” (Camunia, 1987), che fosse messa da parte “La Baronessa dell’Olivento” (Camunia, 1990) e quelle ombre buie che davano corpo a “Ombre sull’Ofanto” (Giunti, 1992) e poi riapparse, in forma meno anemica, su “Adriatico” (Giunti, 1998) per dare corpo, vita e giusto preludio al “Viaggio a Salamanca” (Aragno, 2001).

Sarei tentato di affermare che “Giustiziateli sul campo” (Bergamo, 2006) sarebbe la giusta punizione per alcuni personaggi di un romanzo irriverente e pur rispettoso dei preliminari intelligenti che rendono avvincente non la trama, ma l’arguta intelligenza di un uomo che ci ha regalato un libro “I narratori cristiani di un secolo inquieto” (STUDIUM LUMSA UNIVERSITA’- ROMA) che tutti dovrebbero leggere. Vi è un ricordo di quel Raffaele Crovi che aiutò Raf a scalare il successo, ma vi è anche la sensibilità di un figlio che nota l’orgoglio del padre per quel ragazzo che aspirava all’affermazione: un padre che sotto le sembianze di un moscone, penetrato nella stanza di un hotel di Venezia, il giorno prima del premio Campiello 1987, riconosceva al figlio il valore di quella strada intrapresa con “Basilicata tra umanesimo e barocco” (Levante, 1981).

L’ultimo romanzo di Nigro è una continua alternanza tra “Le microgonne e le scollature generose rubano la scena allo skyline (il nostro nella frequentazione di Marsilio si è rovinato a tal punto da ricorrere a termini ‘panoramici’) dei panzerotti fritti, delle pettole al vincotto, delle chiacchiere e delle treccione e mozzarelle sistemate sui tavoli in fondo al salone” e l’onnipresente coscienza critica di Michele Damiani “Voi credete ancora alle favole ? Non ci sarà alcuna primavera e pagheremo a caro prezzo l’uccisione di Gheddafi”: devo ringraziare Raf nei due giorni che ho letto il libro non ho mangiato - le continue abbuffate, anche di ‘crudo’, hanno saziato la mia fame - e ho perso i due chili che permetteranno alla mia colonna di sopravvivere: “La fortuna è fortunata al mondo e non il valore” (Giacomo Leopardi 1798-1937).

L’amico Vito, buono da una vita, cui ho regalato una copia del libro, a proposito di Marsilio-Nigro ha detto: “Aveva ragione il professore di greco … uno più è figlio …”. Mario e Tommaso non si saranno entusiasmati alla lettura - troppo fuori dalle loro ‘corde’ - di questo ennesimo capolavoro (affermazione di Luigi che condivido) del ragazzo di Melfi, nato verso la metà del secolo scorso, ma concorderanno senz’altro sul vero significato de “Il dono dell’amore” in un luogo in cui i sentimenti sono profondi, puri … e duraturi.

PS: Amici che mi donate sempre tanti ‘like’ per una volta lasciate perdere e comprate l’ultima fatica editoriale di Nigro (anche una copia in due come ha suggerito Mariangela): scoprirete che “Il dono dell’amore” non ha bisogno di miracoli, ma di comunicazione, la quale propagazione è l’atto d’amore più confidenziale-intimo- profondo-spirituale di cui l’essere umano dispone.