Perché il dialetto è importante e non sta morendo?

VITTORIO POLITO - Contrariamente a quanto ha scritto Michele Mirabella sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 7 luglio 2024, i dialetti non stanno affatto morendo, dal momento che proliferano numerose pubblicazioni sull’argomento: traduzioni nei vari dialetti di Vangeli, Divina Commedia, la storia di Pinocchio, del Piccolo Principe ecc. oltre alle numerose rappresentazioni del teatro popolare e altro. I dialetti, pur essendo avvertiti come subalterni rispetto alla lingua nazionale, sono vivi e vegeti anche all’estero. Si calcola che nel mondo si parlano circa 7000 lingue dialettali di cui 250 solo in Europa. Nel passato, sembrava che i dialetti fossero destinati all’estinzione, ma le previsioni sono state smentite. Va sottolineato che i dialetti rappresentano una parte preziosa della cultura linguistica e continuano a vivere nonostante l’italiano standard.

A Bari, ad esempio, la “Festa Nazionale del Dialetto”, la manifestazione che riunisce numerose Associazioni, si è svolta ieri, come è consuetudine, nella Sala Consiliare del Comune con due importanti appuntamenti e la partecipazione delle autorità e di un numeroso pubblico. Ma questa è un’altra storia.

I dialetti vanno differenziati in due parti sostanziali: la “lingua del cuore”, come veicolo delle tradizioni usi e costumi di una regione, una città o un paese e quelli destinati a usi scientifici, istituzionali e rituali.

È noto che i dialetti sono la grande riserva alla quale la lingua italiana attinge per la necessità di comunicare realtà locali o di esprimere in maniera nuova ciò che è diventato, nel frattempo, superato.

Il dialetto, anche se meno sviluppato della lingua, conserva nei suoi lemmi, la storia e la cultura della comunità che lo parla. E, da questo punto di vista, legato com’è alla regione, rappresenta l'interfaccia tra la storia culturale del territorio e la realtà osservabile.

Il prof. Salvatore Trovato, ordinario di Linguistica generale e Glottologia presso l’Università di Catania, in una intervista ha dichiarato, tra l’altro, senza mezzi termini che: «Il dialetto, come qualsiasi lingua, è un “sistema linguistico che serve per comunicare”. Da questo punto di vista, uno qualsiasi dei dialetti italiani è lingua allo stesso modo dell’italiano. Dal punto di vista storico e sociolinguistico, però, la differenza tra i due sistemi esiste ed è rilevante. Così, mentre il dialetto è un sistema linguistico di ristretto ambito geografico (regionale, se non limitato tante volte al singolo paese o a un quartiere di esso), la lingua è un sistema linguistico di ambito assai più ampio. Inoltre, il dialetto è meno controllato della lingua, nel senso che non esiste un modello standard, codificato in una grammatica scritta, al quale uniformarsi. Sembra addirittura (ma non è così) che il dialetto non abbia regole, né una grammatica vincolante per il parlante. La lingua, invece, è assai più elaborata del dialetto, perché, in quanto strumento della comunicazione culturale, ha dovuto, nel corso della sua storia, arricchirsi attingendo alle altre lingue di cultura (prestiti e calchi) e spesso, per quanto riguarda il lessico specialistico, al pozzo inesauribile delle lingue classiche (latino e greco). E dietro alle parole e per mezzo delle parole è possibile risalire al bagaglio di una civiltà in parte scomparsa, perché soffocata dalle tecniche e dagli strumenti nuovi, ma utile comunque a chi voglia ritrovare in quelle parole e in quelle tecniche, dimensioni umane, artistiche e artigianali spesso a torto dimenticate e soffocate dalla dirompente livellatrice modernità. Salvare una parola del dialetto che non sia stata registrata dai pur numerosi vocabolari dialettali esistenti significa spesso salvare una parte di storia di una comunità di parlanti. E insieme la storia della cultura».

Alla domanda: “Ci sono dei contatti o delle influenze, qualche termine dialettale che è entrato nel vocabolario italiano?” Ha risposto: «Ci sono le influenze e si tratta di influenze bidirezionali: dalla lingua verso il dialetto (italianizzazione dei dialetti) e dal dialetto verso la lingua (italiano regionale). I regionalismi penetrati nella lingua italiana si chiamano anche prestiti interni o dialettismi. Ogni regione ha contribuito in maniera più o meno abbondante ad arricchire la nostra lingua.»

Infine: “Qual è il valore del dialetto per la nostra società di oggi? Perché è importante preservarlo?”: «Forse il valore che oggi si dà ai dialetti è limitato. Ma si tratta di pregiudizi. Il dialetto, anzi i dialetti, insieme alle lingue classiche, sono la grande riserva alla quale la lingua attinge nel momento in cui ha bisogno di comunicare realtà locali, soprattutto quando queste varcano i confini regionali, o di esprimere in maniera nuova ciò che frattanto, nella lingua, è diventato desueto. Gli scrittori queste cose le sanno benissimo e ai dialetti attingono a piene mani. Il dialetto è il veicolo della cultura delle nostre regioni. Questa si deposita particolarmente nelle parole. Preservare, valutare, conservare il dialetto significa valorizzare le nostre culture e la nostra storia, che, insieme costituiscono le nostre radici delle quali dobbiamo essere orgogliosi quando dalla regione andiamo alla nazione, all'Europa, al mondo.» Più chiaro di così!