Domenico Triggiani: un eccelso, generoso scrittore con cui ora, finalmente, si può andare… “A spasso nel Teatro”

GIANNI CAVALLI - “D’altra parte, specialmente questo nostro secolo, è difficile ad essere compreso a poco più della sua metà. Se nei suoi primi decenni era suddiviso in alcune correnti, sia pure dominate da tanti ‘ismi’, con l’andare avanti le correnti si sono moltiplicate, si può azzardare, sino al punto che quasi ciascun autore ne abbia inventata una: in poche parole, le correnti vanno dissolvendosi, la confusione regna, tutti scrivono, la letteratura è ormai un’industria e come tale soggiace alle implacabili leggi della pubblicità, le quali possono trasformare un mistificatore in un grande autore ed un vero scrittore, a volte, in un caro ignoto” questo significativo periodo è stato estrapolato dalla presentazione del volume che Domenico Triggiani scrisse per attestare la validità del suo, ancor oggi validissimo, lavoro dal titolo “Per la storia della letteratura italiana contemporanea”: la data di stampa porta 30 gennaio 1967 (… tralascio il particolare che oggi non si mette il giorno, cosa buona e giusta, ma neanche il mese … nel migliore dei casi si trova l’anno e, spesso, manca il nome dello stampatore, quando soggetto diverso dall’editore). All’epoca, 38 anni, era già un instancabile divulgatore culturale e, riteneva corretto, scrivere personalmente le presentazioni, per non scontentare nessuno dei suoi tanti amici delle lettere. Il linguaggio sembra semplice, ma è pregno di contenuti, senza dimenticare che, in quel periodo, un tale lavoro richiedeva non solo impegno, ma grande capacità di ricerca difficile da valutare da coloro nati con il computer ‘per amico’: l’Amico Domenico aveva già intuito “… la letteratura ormai industria che soggiace alle implacabili leggi della pubblicità”.

Anni prima, nel settembre del 1962, aveva pubblicato un testo dal titolo emblematico “I racconti della bontà”: in realtà era un ‘Bando di concorso nazionale’ per racconti ispirati alla bontà, da lui ideato, che partiva da una considerazione verificata leggendo la carta stampata quotidiana come scrisse nella presentazione: “Un mattino dello scorso aprile, leggendo i giornali, mi resi conto dell’aridità della vita d’oggi e della grave carenza dei sentimenti più umani. Minacce di guerra, esperimenti nucleari, disastri, furti, rapine, omicidi: queste le notizie che riempivano i giornali. Cercai inutilmente tra le colonne dei giornali la notizia di un atto di bontà, di un atto di umana solidarietà. Così al fine di richiamare gli uomini sulla necessità che la bontà predomini sul male dilagante, invitai gli autori a scrivere racconti ispirati alla bontà”. Furono pubblicati 31 racconti nel volume e vi furono 4 medaglie d’oro e tre d’argento per quelli ritenuti migliori (Quelle d’oro: del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, dell’O.N.M.I. e dell’Amministrazione Provinciale di Bari).

Tornando al volume del 1967 vi sono due episodi personali che mi legano al Triggiani di quel periodo: tra noi vi erano 20 anni di differenza ed anche se considerava la mia generazione ‘reazionaria’ (… il ’68 era in embrione per intenderci), ciò non escludeva ottimi rapporti. Una domenica mattina lui riportò le bozze di quel libro e poi si fermò lungamente a parlare con mio padre: tra gli scrittori voleva aggiungere Gianni Custodero. Il problema era che il testo era tutto impaginato e il cognome Custodero, essendo con la lettera c, avrebbe comportato un lungo lavoro di trasferimento pagine (era l’epoca delle righe meccaniche di piombo) per cui si decise di inserire, dopo la lettera zeta, una breve appendice, magari ‘scovando’ altri autori sfuggiti. Nel lasso di tempo in cui mio padre parlava con Triggiani, io diedi un veloce sguardo alle bozze riscontrando altri piccoli errori: li feci notare all’autore che fu contento. Ora non serve ricordare che anche i ‘presunti’ infallibili sbagliano, ma solo loro sono in grado di ammettere la ‘svista’: per uno scrittore di nome Fiorelli Nicola avevo fatto presente a Triggiani che la via in cui viveva (nato a Campobasso si era trasferito a Tarrytown, villaggio degli Stati Uniti d’America nello Stato di New York) mancava di una lettera; purtroppo nonostante i miei ricordi siano, ancora oggi, ‘vivi’ per cui rivedo perfettamente il controllo che feci con il linotipista facendo togliere spazi da un trattino per aggiungere la lettera mancante… il risultato fu che togliemmo l’errore, ma il cognome e nome dell’autore risultò attaccato senza spazio … anche se vi era una piccola interlinea (Nel tempo chiaramente ho trovato la plausibile spiegazione, ma sarebbe lungo ed inutile sottoporla, perché nessuna giustificazione rimedia ad un ‘abbaglio’). Anni dopo, presenti Vito Antonio Melchiorre e Gianni Custodero, in Regione parlando di errori di stampa sia lo storico barese che lo scrittore di Fasano mi diedero atto dello scrupolo con cui l’azienda cercava di evitare errori, ma il comm. Domenico Triggiani fu implacabile: “… peccato che per aggiungere una vocale, si unisce nome e cognome”. Sul momento non recepii, ma poi mi tornò in mente Fiorelli Nicola.

Per la presentazione del romanzo di un suo ex collega in Prefettura, Hermann Carbone, lo invitai al Piccinni, precisando che ci sarebbe stato il sindaco Nicola Vernola e Pippo Baudo - non ancora Pippo nazionale - che all’epoca era impegnato in teatro con una commedia dal titolo “L’ora della fantasia”, la cui protagonista femminile era Sandra Mondaini. Avevo garantito che vi era un posto per lui sul palco vicino Vernola, ma pur avendolo intravisto fuori il teatro, il risultato delle foto sancì la sua assenza.

Nel 1983 per il volume che conteneva sia il dramma in tre atti “Peccati di provincia” che l’atto unico “Il dramma di un giudice” volle una copertina semplice, quasi anonima, nonostante mio fratello avesse consigliato una più visiva: ci furono due brevissime, ma significative introduzioni di Custodero, ma una bellissima dedica a “Rosa Lettini silenziosa compagna della mia vita, preziosa ispiratrice della mia arte” (persona e scrittore schivo, ma non ha mai nascosto l’importanza della moglie nel suo percorso di vita e di arte: questo vale più di qualsiasi riconoscimento ‘sbandierato’ e poco ‘attuato’ nella sostanza oggi).

A dicembre 1984 fu la volta delle due commedie in dialetto barese: Melchiorre per l’occasione elaborò una esaustiva presentazione con cui prendeva per mano il lettore, spiegando come l’autore dopo 6 lustri di grandi lavori e riconoscimenti si riteneva maturo per un approccio al teatro dialettale. “Le Barise a Venezia” e “La candine de Cianna Cianne” vedono la copertina illustrata da due disegni, validissimi e pregevoli dopo 40 anni, realizzati dalla figlia Milly. Ancor più bella e sentita la dedica ‘confezionata e cucita’ per la moglie che non nascondeva una certa comprensibile preoccupazione “A Rosa Lettini, che con me divide ansie e speranze nel difficile cammino dell’arte”.

Quel 1984 ci siamo sentiti più volte con Triggiani e lui è stata una delle prime persone ad avere il volume “Bona Sforza Regina di Polonia e duchessa di Bari”, realizzato per la visita di Sua Santità Giovanni Paolo II, il 26 febbraio; seppe da mio padre che nel tempo avremmo realizzato un libro fotografico dell’avvenimento - progetto andato in porto il 26 febbraio del 1986 con il titolo “Il Papa a BARI … con il Vento di Pentecoste” - ma non ha mai mandato una sua foto che ricordasse e attestasse la sua presenza all’evento.

A giugno del 1984 per l’uscita del volume di Custodero “Sul filo della storia” non trovò il tempo per redigere una presentazione, circostanza giustificata dal fatto che il giornalista avesse una ‘martellante’ (chi lo ha conosciuto sa bene quanto fosse benevolmente ‘incalzante’) urgenza di pubblicare.

Se il libro delle due commedie in dialetto barese può registrare la presentazione di Melchiorre si deve al fatto che le bozze furono consegnate in contemporanea a Triggiani ed a Vito Antonio, in modo che, colui che doveva stilare la presentazione, avesse il tempo (iniziativa di Mario Cavalli, di solito gli autori erano ‘gelosi’ del loro lavoro e poco disponibili a condividerlo prima) necessario per leggere e poi scrivere il suo intervento.

Questi ricordi personali - ‘parole al vento’ direbbe Triggiani - servono a legittimare il percorso di un uomo, poco propenso a curare un’immagine studiata a tavolino, ma sempre verace-reale-veritiero, a volte brusco senza mai essere scortese, che è difficile immaginare come un devoto appassionato di Teatro. Si deve ad un altro ‘mostro sacro’ in ambito teatrale, Egidio Pani, il ritratto più fedele contenuto in appena quaranta parole: “Per chi lo ha conosciuto, schivo, riservato, non amante dell’effimero, delle apparenze e più attento al concreto evolversi dei rapporti sociali e personali, par strano che amasse tanto proprio il teatro, regno della finzione e della fragilità del reale”.

Questo ha scritto Pani nella monumentale opera, appena pubblicata dall’Editore Cacucci, intitolata “A spasso nel Teatro di Domenico Triggiani”: tre volumi con custodia, quasi mille pagine, a cura di Rosa Lettini e Nicola Triggiani sotto l’egida del Consiglio Regionale Pugliese nella linea editoriale ‘Leggi la Puglia’. Mettere insieme una così complessa opera ‘omnia’ ritengo sia il tributo migliore ad un uomo che ha dedicato ogni momento libero alla letteratura, senza sottrarlo alla famiglia, grazie al contributo determinante di quella collaboratrice a tutto tondo della docente Rosa. Nel primo volume sono riportate le opere in lingua, partendo dalla famosissima “Papà a tutti i costi” - commedia che gli valse nel 1954 il Premio Nazionale per il Teatro ideato da Mario Gastaldi editore in Milano, giornalista che è stato anche consigliere nazionale dell’USPI e noto per essere vicino al movimento dei giovani cattolici - proseguendo con “Donne al potere” e concludendo con l’opera inedita “Ragazzi, stasera sfonderemo!”: in sostanza nove lavori di cui tre non ancora pubblicati.

Nel secondo volume ben 13 commedie dialettali, di cui la metà non ancora rappresentate ed una completamente inedita non solo per rappresentazione, ma anche per la stampa.

Nel terzo una selezionata raccolta dello smisurato materiale che vede Triggiani affidato ai giudizi della stampa con recensioni dei suoi lavori e delle rappresentazioni teatrali: impresa notevole, il tutto riportato in ordine cronologico per ciascun lavoro preso in esame, la qual cosa rende merito all’enorme ‘fatica’ cui si sono sottoposti la moglie Rosa e il figlio Nicola.

Questo mi consente di aprire una piccola parentesi personale: Triggiani ha sempre collaborato in maniera assidua con molte ‘testate’ locali, fin dagli anni ’60 del secolo scorso, giornali che quasi sempre avevano uscita settimanale - lo scrittore Vittorio Polito, nel suo saggio introduttivo ai tre volumi, ha ricostruito, con precisione di ‘bibliotecario ancora in attività’, l’excursus di vita e di lettere del nostro ‘testimone del tempo’ non trascurando quasi (scusa Vittorio, ma, per noi mortali, il quasi, è un atto dovuto verso quella Provvidenza che è una candela … sempre accesa) niente, con quella precisione e pignoleria conquistata sul campo e legittimata con i fatti - ed erano la valvola di sfogo di tanti uomini di lettere che ‘tampinavano’ i vari direttori affinché i loro scritti venissero pubblicati. Polito cita alcune testate (ignorando altre) tra cui “Il Meridionale” diretto dall’avvocato Alberto Margherita da Latiano, uomo di una gentilezza d’altri tempi, poco avvezzo ad essere ‘ripreso’. Domenico Triggiani era uno dei più assidui collaboratori e spesso veniva in azienda per correggere personalmente lo scritto: un altro che preferiva leggere personalmente era Custodero, ma la cosa era evitata da tutti i direttori perché non correggeva, ma ‘stravolgeva’ quel povero articolo: chi scrive è stato ‘testimone oculare’ di questa ‘passione’ di Gianni sviluppatasi prima presso il Comune di Bari e poi da responsabile per 5 lustri dell’ufficio stampa della Regione Puglia. Una volta Triggiani venne per correggere l’articolo e il direttore Margherita gli fece notare che era stato rinviato al numero successivo: ero presente e notai subito che Domenico andò da mio padre: il genitore, Triggiani, Margherita e il direttore Aurelio Papandrea, coinvolto da mio padre, presero la strada del bar. Ero convinto, come tutti, che la richiesta di Triggiani sarebbe stata respinta, per impraticabilità del campo di lavoro, dal momento che le otto pagine del “Il Meridionale” erano pronte. Al ritorno mio padre comunicò che sarebbero state 10 pagine (la qual cosa creava anche problemi per l’azienda, non solo con la piegatrice), pur conscio che avrebbe prodotto il ‘caos’ nella programmazione. Margherita, abbastanza ‘scosso’, guardando mio padre disse “il giudice don Mario ha ritenuto di decidere per tutti e contro i suoi interessi’, Papandrea “Mario Cavalli ha ragione anche quando la decisione appare sbagliata” e Domenico Triggiani con un leggero sorriso mi regalò “ada mangià pane tèste, te lo dice un dilettante” che non mi parve una dichiarazione di pace. Mai saputo come si fosse giunti ad un accordo che non scontentava nessuno accontentando uno, ma nella realtà fui costretto ad aiutare Margherita per completare le due pagine, dovendo interpretare i suoi appunti, scritti con pennarello blu, in cui esponeva solo le sue conclusioni, dimenticando che i fatti mi erano ignoti. Martedì 27 dicembre 2005 quando Egidio Pani scrisse sulla GdM il pezzo per ricordare la scomparsa di Domenico Triggiani lessi “Letterato ‘dilettante’, come amava a volte definirsi in anni lontani …” compresi che la sua era una testimonianza d’affetto: chiaramente nel suo modo asciutto, conciso, essenziale che nulla concede ‘al teatro di vita vera e vissuta’.

Peccato che ho conosciuto lo scrittore-commediografo-romanziere Vincenzo Di Mattia (Gravina in Puglia 1932 - Roma 2021) soltanto nel 2006, mi parlò di Triggiani e voleva salutarlo: vivendo a Roma non aveva saputo della scomparsa; era venuto a Bari per la presentazione del volume “Su il sipario”, curato da Rino Bizzarro, di cui lui era uno degli autori che pubblicavano testi inediti. Di Mattia era grato in maniera incredibile a Triggiani: come riferisce Polito, nel suo saggio introduttivo all’opera in tre volumi, lo scrittore barese ideò ed organizzò nel 1957 il “Premio letterario Città di Bari” che aveva lo scopo di segnalare autori meritevoli: infatti l’opera vincitrice veniva pubblicata dall’editore “Ceschina” di Milano. Nel 1958 fu premiato il romanzo “La lunga guerra col pane” di Vincenzo Di Mattia: il volume verrà pubblicato l’anno successivo e servirà nel 1960 al gravinese per vincere il concorso in Rai e come disse mi assicurò “il pane quotidiano”.

Chiaramente Triggiani, autore in cui i sentimenti umani sono solo ricchezza da spendere al servizio degli altri, vide molte affinità con l’uomo che elevava il pane a simbolo di vita, al servizio della gente che, provata dalla miseria, aspirava ad pezzo di terra in cui coltivare il grano. Il libro di Di Mattia è stato ristampato nel 2004 dalla benemerita fondazione Ettore Pomarici Santomasi di Gravina in Puglia.

Rosa Lettini, moglie, madre e pilastro importante nella vita di Triggiani, merita un plauso particolare e speciale: hanno cresciuto con amore e fermezza i tre figli nati dalla loro unione ed i ragazzi di allora, oggi professionisti stimati e realizzati nei rispettivi campi, sono stati degni continuatori di quella rigorosa tenerezza ricevuta. Ho parlato spesso al telefono lungamente con la signora Rosa e ha sempre dimostrato equilibrio e disponibilità: anche per un caso privato personale è stata una magnifica, meravigliosa, silenziosa dispensatrice di saggezza reale e non teatrale, lei che avrebbe potuto calcare tranquillamente le scene delle grandi compagnie, preferendo invece essere la mamma di presenza costante per Camilla, Vincenzo e Nicola.

Nei primi anni ’80 Triggiani comunicò che stava fondando un gruppo teatrale che avrebbe chiamato ‘Levante’, cosa che in realtà fece nel 1983 ricorda Polito, probabilmente perché significa che si leva, che sorge e poi, come diceva nel 1967 Stevie Wonder “Il sole è di tutti”.

Avevo promesso alla signora Lettini che non sarei mancato nel febbraio 2016 per la cerimonia di intitolazione del Giardino del Municipio 3 a Domenico Triggiani, ma le cose sono andate in maniera diversa: avrò sbagliato giardino?

Una cosa è certa: quando li raggiungerò, magari all’interno di un immenso parco in cui tutti riposano liberi e felici, con calma i coniugi Triggiani, mio padre, Custodero e Melchiorre e tanti altri amici, rifletteremo sul fatto che “… in teatro, finché l’ultima battuta non è stata pronunciata, non si può calare il sipario… per giunta vi è sempre qualcuno che chiede il bis”, mentre nello spazio verde del Cielo si è liberi totalmente e senza bisogni o varie necessità e si può riflettere su quella frase di Seneca, poco ‘ponderata’ sulla Terra, che recita: “Affrettati a vivere bene e pensa che ogni giorno è una vita”.