“Le Vigne Vecchie”, alla ricerca del tempo perduto

FRANCESCO GRECO - Diciamolo subito: in “Le Vigne Vecchie” (peQuod editore, Ancona 2024, pp.348, euro 18,00), Francesco Russo scende nelle viscere oscure e profonde della sua terra sospesa fra Europa e Mediterraneo, le sue infinite sfaccettature.

Novello Dante/Virgilio, muovendo da un input neorealista, nel suo romanzo ci porta per mano dentro i chiaroscuri di una scansione polisemica, plurale: antropologica, sociologica, politica, spirituale, valoriale, etica e quant’altro il lettore vorrà vederci.

I personaggi (da Rocco a Teresina, da Santo a Elisa alla voce narrante di Michele, che si assegna il ruolo del cronista registrando ogni sguardo e sottinteso), si trasfigurano così in archetipi distanti abissalmente dalla narrazione codificata di cui siamo impastati. Diremmo quasi una neolingua in senso orwelliano.

E dunque, Capuano, terra assetata, col senso del tragico nel dna (eredità dei Greci), tendente alla rassegnazione e anche al fatalismo (che però non prendono mai il sopravvento) riecheggia il Macondo di Garcìa-Màrquez (“Centanni di solitudine”), ma anche certe novelle della Deledda come il verismo di Verga (le “Vigne Vecchie”non fanno pensare alla barca di padron ‘Ntoni dei “Malavoglia”?).

La vita pulsa di esistenze dolenti, fra guerre ed emigrazioni che rimodulano ipotesi di normalità, vissute però col senso del sacro (a un certo punto discutono di Dio con naturalezza, dandogli del tu, quasi spogliato della sua divinità), dell’ancoraggio alla terra, dell’appartenenza a una comunità con i suoi codici ed equilibri, scritti e soprattutto sottintesi.

Gente ansiosa di riscatto tenuta insieme da un’energia magmatica, ancestrale, universale, in lotta col proprio amaro destino, che si muove fra ulivi maestosi e aspre scogliere. Con una dolorosa piramide sociale che accentra potere e beni nella mani pochi, che sottomettono i molti in tutti i sensi (il fattore sequestra la vedova Teresina raccoglitrice di ulive nel capanno).

Ciò premesso, in una saga di più famiglie, facciamo subito la conoscenza col protagonista Rocco: piace molto la sua postura nella vita, l’energia quasi escatologica, perché ci intravediamo i nostri nonni e padri che hanno reso grande la terra dipinta da Russo.

Francesco Russo (Gagliano del Capo, Lecce, 1951, laurea a “La Sapienza”, primo abbozzo del romanzo nelle lunghe notti alla guardia medica) padroneggia bene la sua storia, la complessa architettura, gestisce la psicologia, i sentimenti, l’hybris dei personaggi alla perfezione, la loro sintonia col mondo e gli altri, il plot narrativo intriga a ogni pagina.

Ma non sveliamo di più: sarà il lettore a esserne conquistato (il romanzo è disponibile sulla piattaforma Amazon).

E’ stato un medico professionalmente apprezzato per tutta la vita e fa indovinare, nel suo impianto narrativo, un altro medico: J. A. Cronin (“E le stelle stanno a guardare”). Provate a sovrapporre “Le Vigne Vecchie” alla “Cittadella”...