“Pasolini? Io lo conoscevo bene…”. Intervista a Dacia Maraini


FRANCESCO GRECO.
ROMA – “Pasolini? Aveva sempre fretta…”. La scrittrice Dacia Maraini è stata anche la sceneggiatrice di sei film di Pier Paolo Pasolini. E lo ha svelato nella sua delicata intimità e infinita ontologia alla commemorazione della sua nascita (5 marzo 1922), presso l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (Sala Zavattini, via Ostiense, 106), dove è stato presentato un quaderno a più umani (edito da Effigi, curatela di Letizia Cortini, Gabriele Ragonesi, Paola Scarnati) e un film inedito di Carlo Di Carlo, aiuto-regista Alessandra Bocchetti, in cui sono apparse le amate borgate brulicanti di primitiva vitalità e, seconda parte, il grande friulano (ma ha studiato a Bologna, dove ci sono i suoi materiali) ha parlato della sua vocazione, la genesi dei suoi libri, il fascino del dialetto, la lingua della sua terra e della madre Susanna, la borghesia, le denunce (82, sempre assolto), il fratello Guido Hermes partigiano massacrato a Porzus, il film innedito sui netturbini romani, durata 3 ore (assemblee, interviste), etc.

Una serata intensa, in cui lo scrittore, poeta, regista, intellettuale che ha impregnato il secondo Novecento italiano - “emblema dell’intellettualità irriducibile al senso comune”, ha premesso il presidente della Fondazione AAMOD Vincenzo Vita - è divenuto una presenza materiale. E’ storia: il Pci gli negò la tessera.

Modulata sulla scansione della memoria da tener viva, come le coscienze, perché, ha aggiunto la scrittrice “la cultura del consumo la scoraggia…”.

Signora Maraini, come fu che Pasolini arrivò al cinema?

“Da ragazzo aveva visto i film del Neorealismo. Egli si considerava scrittore di versi, ma considerava la lingua italiana troppo borghese. Conservò sempre il suo accento friulano. Decise così di raccontare storie perché diceva che il linguaggio del cinema è internazionale”.

Il suo cinema pare influenzato dalla pittura…

“Prendeva molto dai quadri, soprattutto dalla pittura dei Bruegel. Il suo cinema è molto poetico, molto vicino alla pittura”.

Fu comunista?

“Non direi… Più vicino a valori del Cristianesimo, del Socialismo. Non parlava di lotta di classe, ma degli ultimi… Detestava la borghesia, ne rifiutò anche il linguaggio, diceva che pensava solo ad arricchire, mentre si riconosceva nella piccola borghesia fatta, diceva, di lavoratori e intellettuali”.

L’Orestiade africana rimase un progetto incompiuto: quale fu il background?

“Pier Paolo amava molto la mitologia, soprattutto greca. Inseguì una purezza popolare idealizzando prima il contadino della sua terra, Casarsa, e poi, a Roma, il sottoproletariato. Cercava l’innocenza e il candore. Deluso, scoprì l’Africa, dove andammo sei volte”.

Ma il progetto saltò: quali i retroscena?

“Nel cuore dell’Africa, avevamo individuato anche la tomba di Agamennone. Facemmo casting e trovammo un Oreste regale, per Elettra la cercammo per giorni e fra tante ragazzine alla fine saltò fuori pure quella.

Per il fumo - gli Africani bruciavano tutto - che annunciava il ritorno di Agamennone, fu molto faticoso: nessuno gli andava bene: uno era troppo grasso, un altro troppo esiguo, ma alla fine, quando stavamo per rinunciare, vedemmo quello giusto. Solo che arrivò un telegramma del produttore Alfredo Bini, che diceva: Il pubblico italiano non è ancora pronto per un film con attori africani. Tristemente il progetto saltò...”.

Uccellacci e uccellini, uno dei film più belli…

“Totò gli dava del lei. Ci teneva a essere considerato un nobile. Ma si consegnava interamente al regista, e lo fece anche con Pasolini”.

Pasolini e le donne…

“Anna Magnani ma soprattutto Maria Callas, che era la voce, la bellezza, il fascino. Capii che gli omosessuali possono innamorarsi di una donna, ma in senso platonico.

Diceva spesso: Non posso fare l’amore con una donna, sarebbe come farlo con mia madre…”.

Con cui aveva un rapporto quasi morboso…

“Il padre tornò dalla guerra alcolizzato e si fece violento. Pasolini divenne protettivo verso di lei, che però voleva cambiarlo… Ma lui non era mai uscito dal suo grembo e lì voleva tornare… Cercava i ragazzini perché si sentiva uno di loro…”.

Che uomo era, in definitiva?

“Dolcissimo, delicato, gentile, sempre pieno di attenzioni, pronto a mettersi in discussione. Non si arrabbiava mai. Non l’ho mai sentito alzare la voce, né dire una brutta parola… Era uno stakanovista, con lui si lavorava dalle 7 a mezzanotte.

I giornali di destra lo dipingevano come un uomo aggressivo... Un pericolo pubblico. Lo demonizzavano”.

La sua morte resta un mistero: si è fatta un’idea di cos’avvenne quella notte?

“Fra le tante cose, è stato detto che era spericolato, che sfidava la morte: in realtà era una sfida con se stesso.

Se Pelosi morendo ha confessato di non averlo ucciso, forse bisogna cercare nello scritto di Pier Paolo dal titolo Io so…”.

ph_ Francesco Greco