Quella mostra di Craxi l’Africano che nessuno voleva fare


FRANCESCO GRECO. ROMA – “Sono un uomo politico che ama l’arte e che le vuole stare vicino…”. (Bettino Craxi)

Correva l’anno di grazia 1998, Bettino Craxi era esule in terra straniera (Hammamet, Tunisia). Col pensiero alla sua terra lontana, gravemente malato, lo statista (morirà il 19 gennaio 2000) aveva trovato consolazione in una declinazione artistica.

Non si sa di preciso a chi venne l’idea della mostra: ma si sa che la vulgata remava contro. Il conformismo, il cantare nel coro è nel nostro dna.

Craxi era il capro espiatorio della brutta, sordida, contraddittoria stagione di Mani Pulite. Nessuno si era alzato quando aveva fatto quella sorta di chiamata di correo, in Parlamento quel 3 luglio 1992, sul finanziamento dei partiti. Ipocritamente tutti fischiettarono, girandosi dall’altra parte.

Il leader del PSI era finito in una specie di black-list. Chi mai avrebbe potuto organizzare una mostra delle sue opere, in Italia?
Né quanti tentativi furono fatti, ma tanti, tantissimi, anche insospettati, scossero la testa. Ma alla fine l'impresa andò in porto: furono l’artista Andrea Picini a curarla e il gallerista/artista Roberto Panico, pugliese (Racale, Lecce) a lavorare sull’idea e a ospitare (siamo a fine 1998) opere intrise di un amore, di nostalgia, per la Patria lontana e ingrata, di Craxi in veste di artista, che poteva anche essere letta come una declinazione del suo fare politico. Ma come andarono davvero le cose? Panico fruga in un book sostanzioso, dove ha conservato i materiali, propedeutici e successivi.

Ecco innanzitutto la scheda tecnica: Titolo “La mia Africa” (voluto dallo stesso statista). Furono proposte: 38 litografie e tre ceramiche, realizzate, comne già accennato, fra il 1994 e il 1998, ad Hammamet (Tunisia).

Divise in quattro sezioni: Le Vices (I Vizi), la Priéjere (La Preghiera), le Tunisiac, Aurum e Colosseum.

“Vernissage affollatissimo”, scrissero i giornali dell’epoca. Vittorio Sgarbi la visitò la sera prima dell’inaugurazione e ci tornò il giorno dell’apertura. La serata fu condotta dalla pronipote di Garibaldi, Anita. Intervennero i figli, Bobo e Stefania, Margherita Boniver, Giulio Di Donato, Gianni De Michelis, Paris Dell’Unto e altri leader del Garofano.

Grande assente: Berlusconi. “Sarebbe dovuto essere il primo a visitarla…”, dice oggi Panico togliendosi un sassolino dalle scarpe.

Sotto l’aspetto artistico-estetico, ecco che cosa si scrisse sulla rivista “Arte In” numero Dicembre 1998-Gennaio 1999 (prendiamo le news dalla bella intervista di Lorella Pagnucco Salvemini, nipote del deputato PSI Gaetani, 1873-1957). Sgarbi: “Craxi? Un concettuale minimalista”. “La mostra aveva lo scopo di rompere il silenzio…”, Picini (curatore). Per Panico, che la ospitò nella sua galleria “Bianco e Oro”, in Centro (via del Vantaggio, 21): “Una mostra significativa sotto il profilo culturale. Craxi fa una ricerca di interesse storico. Mi ha colpito la sua sensibilità, che si sofferma su particolari così poetici come le fotografie di Lumiére. Dalle sue opere non emerge l’aspetto del comandante, ma della sua sensibilità e delicatezza che non conoscevo”. Ebbe ampia copertura mediatica, in Italia e all’estero: oltre a tutte le tv italiane, quelle arabe, svizzere, francesi, spagnole, tedesche, la BBC, etc.

Testate: Corriere della Sera, la Repubblica, la Stampa, il Giornale, il Messaggero, il Mattino, Gente, Panorama, l’Avanti! E ancora l’Herald Tribune.

E critici d’arte fra cui Pierre Restany, Giovanni Carandante, Carmelo Strano e altri.

Le opere non erano in vendita, ma ci furono molte richieste di acquisto.

“Spesso la Storia scritta dai vincitori è ricolma di menzogne… Nei libri di Storia vorrei entrare lungo il sentiero della verità…”. (Craxi).