BARI - “Il Governo si dia da fare, la guerra del grano non riguarda un solo territorio, ma l’identità e il futuro dell’agricoltura italiana”. Sulle difficoltà del comparto cerealicolo, rese drammatiche dallo stallo dei prezzi corrisposti ai produttori e dalla immutata propensione della parte industriale a privilegiare l’import a discapito della qualità garantita ai consumatori, è intervenuto Raffaele Carrabba, presidente regionale di CIA Agricoltori Italiani della Puglia.
“Privilegiamo misure concrete e un approccio realistico al problema”, ha aggiunto Carrabba. “Cominciamo con l’istituire la CUN, la Commissione Unica Nazionale per la rilevazione del grano duro, a Foggia. La Puglia è il territorio che produce più qualità e la maggiore quantità del grano duro in Italia. E’ una promessa del Governo da tanto tempo, anche troppo, ed è il momento di realizzare quell’impegno”.
Il rilancio del comparto, secondo CIA Agricoltori Italiani della Puglia, presuppone l’attivazione di una serie di misure: 1) velocizzare l’attuazione delle misure previste nel piano cerealicolo nazionale; 2) incentivare accordi e contratti di filiera equi che diano valore alla qualità dei grani italiani 3) prevedere una campagna di promozione della pasta italiana nel mondo; 4) garantire la massima trasparenza delle borse merci; 5) rendere obbligatoria la comunicazione delle scorte da parte degli operatori commerciali e industriali; 6) autorizzare eventuali nuovi centri di stoccaggio per l’ammasso delle sole produzioni locali, volte a favorire una maggiore aggregazione dell’offerta; 7) verificare che i centri di stoccaggio autorizzati siano destinati principalmente per le produzioni locali. Nel 2016, i dati relativi alle quantità di grano raccolte in Puglia misero in rilievo numeri da record. Alla crescita delle quantità raccolte, tuttavia, fece da contraltare il vero e proprio crollo della produzione lorda vendibile, vale a dire del valore del frumento duro, per effetto del gioco al ribasso che caratterizzato il prezzo corrisposto ai produttori.
In media, nel 2016 ogni impresa agricola che ha destinato in parte o totalmente la propria terra alla coltivazione del grano ha perso circa 165 euro per ogni ettaro. “Bisogna ricordare e ribadire che, al di sotto dei 30 euro al quintale, i produttori non riescono a sostenere i costi di produzione: praticamente, sono costretti a produrre in perdita”, ha spiegato Carrabba.
“Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: è necessario che il governo mostri la volontà, e abbia la necessaria determinazione, di intervenire con ogni strumento a sua disposizione per sostenere la redditività degli agricoltori e scongiurare lo scenario peggiore, vale a dire che i produttori decidano di rinunciare a coltivare grano. “Abbiamo sentito parlare di ‘pasta italiana 100%’ e di altre idee importanti, che condividiamo, ma per giungere a un obiettivo tanto ambizioso è necessario essere consapevoli che tutto il settore necessita di una diversa organizzazione di filiera, attraverso il sostegno della qualità, della ricerca applicata al settore agroalimentare, tutti elementi che possono aumentare il potere contrattuale della produzione rispetto alle industrie di trasformazione”. “Senza provvedimenti, per rientrare almeno dei costi di produzione, gli agricoltori saranno costretti a investire meno e quindi a realizzare un prodotto meno qualitativo. Se questo dovesse accadere, a perderne sarebbe tutto il sistema agricolo italiano”.
“Privilegiamo misure concrete e un approccio realistico al problema”, ha aggiunto Carrabba. “Cominciamo con l’istituire la CUN, la Commissione Unica Nazionale per la rilevazione del grano duro, a Foggia. La Puglia è il territorio che produce più qualità e la maggiore quantità del grano duro in Italia. E’ una promessa del Governo da tanto tempo, anche troppo, ed è il momento di realizzare quell’impegno”.
Il rilancio del comparto, secondo CIA Agricoltori Italiani della Puglia, presuppone l’attivazione di una serie di misure: 1) velocizzare l’attuazione delle misure previste nel piano cerealicolo nazionale; 2) incentivare accordi e contratti di filiera equi che diano valore alla qualità dei grani italiani 3) prevedere una campagna di promozione della pasta italiana nel mondo; 4) garantire la massima trasparenza delle borse merci; 5) rendere obbligatoria la comunicazione delle scorte da parte degli operatori commerciali e industriali; 6) autorizzare eventuali nuovi centri di stoccaggio per l’ammasso delle sole produzioni locali, volte a favorire una maggiore aggregazione dell’offerta; 7) verificare che i centri di stoccaggio autorizzati siano destinati principalmente per le produzioni locali. Nel 2016, i dati relativi alle quantità di grano raccolte in Puglia misero in rilievo numeri da record. Alla crescita delle quantità raccolte, tuttavia, fece da contraltare il vero e proprio crollo della produzione lorda vendibile, vale a dire del valore del frumento duro, per effetto del gioco al ribasso che caratterizzato il prezzo corrisposto ai produttori.
In media, nel 2016 ogni impresa agricola che ha destinato in parte o totalmente la propria terra alla coltivazione del grano ha perso circa 165 euro per ogni ettaro. “Bisogna ricordare e ribadire che, al di sotto dei 30 euro al quintale, i produttori non riescono a sostenere i costi di produzione: praticamente, sono costretti a produrre in perdita”, ha spiegato Carrabba.
“Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: è necessario che il governo mostri la volontà, e abbia la necessaria determinazione, di intervenire con ogni strumento a sua disposizione per sostenere la redditività degli agricoltori e scongiurare lo scenario peggiore, vale a dire che i produttori decidano di rinunciare a coltivare grano. “Abbiamo sentito parlare di ‘pasta italiana 100%’ e di altre idee importanti, che condividiamo, ma per giungere a un obiettivo tanto ambizioso è necessario essere consapevoli che tutto il settore necessita di una diversa organizzazione di filiera, attraverso il sostegno della qualità, della ricerca applicata al settore agroalimentare, tutti elementi che possono aumentare il potere contrattuale della produzione rispetto alle industrie di trasformazione”. “Senza provvedimenti, per rientrare almeno dei costi di produzione, gli agricoltori saranno costretti a investire meno e quindi a realizzare un prodotto meno qualitativo. Se questo dovesse accadere, a perderne sarebbe tutto il sistema agricolo italiano”.