BARI - “Ciliegie, angurie, uva da tavola, agrumi, prodotti orticoli: non c’è un prodotto del comparto agricolo che non sia in crisi. Produrre al di sotto dei costi di produzione non è possibile, così come non lo è produrre a ‘costi italiani’ e svendere a prezzi internazionali le produzioni ottenute, stando attenti a rispettare – doverosamente e come facciamo sempre - i contratti di lavoro, le norme sulla sicurezza e le regole per garantire la salubrità dei prodotti. Tutta questa mole di lavoro non è riconosciuta da chi porta sulle tavole dei consumatori quei prodotti”. E’ questa la parte iniziale dell’ampia relazione che CIA Agricoltori Italiani Puglia ha sottoposto oggi 8 giugno all’attenzione di Donato Pentassuglia, assessore regionale all’Agricoltura, durante il Tavolo Ortofrutticolo convocato dalla Regione Puglia. Assieme a Pentassuglia, presente anche Francesco Paolicelli, presidente della Quarta Commissione consiliare della Regione Puglia. L’organizzazione sindacale degli agricoltori, rappresentata al Tavolo dal vicepresidente vicario regionale Giannicola D’Amico e dai responsabili CIA provinciali del settore, ha fatto rilevare come “in sostanza, il comparto agricolo sia uno dei pochi a subire e a non determinare il prezzo dei propri prodotti”. Un prezzo, dunque, che “è frutto delle speculazioni commerciali”. Sotto accusa, dunque, lo squilibrio di potere contrattuale che pende completamente a favore della GDO (la Grande Distribuzione Organizzata) e dei mediatori. Al danno di prezzi riconosciuti ai produttori né equi né remunerativi, si aggiunge la beffa di un aumento incontrollato dei costi di produzione: carburante, energia elettrica, concimi e fitofarmaci – insieme a tutti gli altri mezzi tecnici di produzione – nell’ultimo anno sono aumentati di almeno il 50%, con punte del 100% nel caso dei concimi e del carburante.
“Prezzi al ribasso per i produttori, importazioni selvagge e squilibrio nei rapporti di contrattazione”, denuncia CIA Puglia, “hanno determinato una crisi gravissima del settore ortofrutticolo”.
IL PREZZO E I NUMERI DELLE CILIEGIE. Il prezzo delle ciliegie riconosciuto ai produttori è inferiore anche di 10-15 volte al costo imposto ai consumatori nei supermercati, in special modo quelli del Nord. Dei quasi 30 mila ettari coltivati a ciliegie a livello nazionale, con una produzione italiana complessiva che si attesta a circa 105mila tonnellate, la Puglia rappresenta oltre il 30%. Le superfici coltivate, secondo l’Istat, in Italia si sono ridotte dai 30mila ettari del 2010 ai 28.700 del 2021, con una produzione passata da 1,15 milioni di quintali di 12 anni fa a 1,04 milioni di quintali della scorsa campagna cerasicola, con una perdita del valore di 10 euro per quintale e un’incidenza sul totale del “valore frutta” sceso dal 5,1% all’attuale 3,8%.
PIU’ ETTARI MENO RESA IN PUGLIA. Per la Puglia i dati registrano un aumento della superficie, passata da 17.800 ettari nel 2010 ai 18.700 ettari del 2021, con una produzione di circa 445.000 quintali del 2010 a fronte dei 331.100 quintali circa del 2021, con una resa in q.li/ha che è passata da 29,5 ai 17,9 quintali per ettaro nel 2021.
In termini di valore della produzione siamo passati da 55,4 milioni di euro del 2010 ai 38,15 milioni di euro del 2020, con una perdita del valore per quintale di circa 8 euro.
“Anche quest’anno”, ha denunciato CIA Puglia, “a causa dei fattori climatici le ciliegie raccolte hanno un calibro inferiore ai consueti standard. Le dimensioni ridotte, che pure non inficiano la qualità delle ciliegie, fanno si che il prodotto sia giudicato meno appetibile per il consumatore. In Puglia, il raccolto quest’anno si sta caratterizzando per la produzione di quantitativi rilevanti, con il rischio di intasamento del mercato. Un fattore di non secondaria importanza è rappresentato dall’esiguità del numero di OP (Organizzazioni di Produttori) capaci di aggregare l’offerta, programmarne l’uscita sul mercato, differenziarla per tipologie e destinazione di consumo o trasformazione”. “Occorre dunque aggregare e differenziare l’offerta e favorire la rinascita di punti vendita e negozi specializzati per la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli, poiché la grande distribuzione, anziché avvicinare il produttore al consumatore, allarga la forbice imponendo costi aggiuntivi alla filiera legati alla logistica e ai trasporti”.
L’UVA DA TAVOLA. “Il 27% delle aziende ortofrutticole pugliesi è rappresentata da produzioni di ortive, mentre il 58% si colloca nel segmento dei fruttiferi. Nei fruttiferi a farla da padrona è l’uva da tavola, settore in cui la Puglia è la prima regione italiana per numero di aziende, quantità e qualità della produzione. Il dato complessivo regionale si attesta su una superficie di 25.085 ettari utilizzati e una produzione di 6.400.000 quintali. Per il comparto dell’uva da tavola, incombe, più di altri comparti, la questione delle royalty da pagare sulle nuove varietà. Sulle uve da tavola senza semi, soprattutto, ma anche su moltissimi prodotti ortofrutticoli e agrumicoli, negli ultimi tempi si sta giocando una vera e propria “guerra dei brevetti”.
LA QUESTIONE ROYALTY. In alcuni Paesi, come Israele, Cile e Stati Uniti, la ricerca scientifica ha prodotto nuove varietà di frutti. La proprietà intellettuale di quelle produzioni implica il pagamento delle royalty, da parte dei semplici agricoltori sul territorio, non solo per avere l’autorizzazione a coltivare determinate varietà ma anche nella successiva vendita del raccolto. Di fatto, agli agricoltori viene imposto anche a chi vendere. Un’imposizione che, se elusa, può avere conseguenze estreme, fino al taglio delle viti. In sostanza, per poter coltivare le nuove varietà, l’azienda agricola deve sottoscrivere un contratto che la vincola non solo a pagare le royalty, ma anche a vendere e commercializzare l’uva solo attraverso uffici della società che detengono il brevetto vegetale. I detentori dei brevetti decidono al posto dell’agricoltore come e quanto coltivare e quale reddito deve andare a chi investe e lavora sul campo, si accolla il rischio d’impresa, paga fior di euro per assicurare i propri vigneti e li cura”.
REGOLE DISEGUALI, ITALIA PENALIZZATA. “Le diverse regole anche all’interno dell’Unione europea rendono ancora più difficile la vita dei nostri produttori. L’Olanda, ad esempio, annualmente satura il mercato europeo dell'uva da tavola con prodotto acquistato dall'Egitto, che viene venduto, già confezionato, al prezzo medio di 0,60 €/Kg, contro il prezzo medio di 1,20 €/Kg dei produttori e commercianti italiani. Non è possibile vendere le nostre uve ad un prezzo più basso di 1,20 €/kg, un prezzo peraltro appena sufficiente alla sola remunerazione dei costi. L'Olanda ha stretto accordi commerciali con i produttori egiziani ed ha realizzato una grande piattaforma logistica di distribuzione del prodotto egiziano. Attualmente gli egiziani hanno una produzione di buona qualità ed ogni anno aumentano le proprie estensioni a frutto per migliaia di quintali. Avvalendosi di una manodopera a costo bassissimo, l'Olanda può oggi distribuire sul mercato europeo una grande quantità di uva da tavola, con e senza semi, di buona qualità a prezzi stracciati ed improponibili per i produttori italiani”.
FATTORI DI CRISI. Nel documento di CIA Puglia, si evidenzia poi l’incidenza devastante delle calamità naturali. La siccità colpisce sempre più duramente. “Per salvare le produzioni, le imprese agricole stanno facendo far ricorso a diversi interventi di irrigazione di soccorso con un aggravio di costi per i bilanci delle aziende”. Un altro fattore di crisi è la difficoltà di reperire manodopera. “La situazione è prossima a diventare critica, manca il flusso dell’Est Europa e dai Paesi extracomunitari; mancano tanti collaboratori ricorrenti, già formati e qualificati. I vari decreti emergenza e decreti flussi non hanno dato le risposte che ci si aspettava per effetto dei gravi ritardi che si sono accumulati nelle istruttorie delle richieste presentate.
FITOFARMACI. “Occorre eliminare le disparità esistenti anche in ambito europeo ed extra europeo rispetto all’uso dei fitofarmaci che attualmente favoriscono l’agricoltura di alcuni Paesi e tutto a danno degli altri, tra cui l’Italia. Ci sono nazioni che – incuranti delle conseguenze sull’ambiente – utilizzano la chimica per acquisire un vantaggio competitivo e migliori condizioni produttive rispetto a chi non può usare certi prodotti.
LE RICHIESTE CIA PUGLIA. “Serve innanzitutto approntare misure specifiche nel PSR pugliese e nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza, occorre l’appostamento di risorse per la gestione delle crisi di mercato, ed è necessario affrontare in maniera strutturale il problema della risorsa idrica con rifacimento della rete irrigua e riuso delle acque bianche e nere. Non è derogabile, inoltre, l’approntamento di misure per la gestione del rischio da calamità e crisi di mercato in grado di mettere gli agricoltori nelle condizioni di veder riconosciuto il valore del proprio prodotto. Per CIA Puglia, inoltre, occorre: a) Bloccare l’azione di strozzinaggio praticata dai breeders b) Sostenere programmi nazionali di ricerca volti al miglioramento genetico per l’uva da tavola, con una gestione pubblica delle nuove varietà c) Istituire “corridoi verdi” per i lavoratori extra comunitari, utilizzare la manodopera dei percettori del Reddito di Cittadinanza d) Sovvenzionare l’espianto di vecchi impianti, in modo da rinnovare le strutture e incentivare l’innovazione varietale e) Favorire l’aggregazione in OP controllate dagli agricoltori e disincentivandone la frammentazione f) Realizzare il catasto ortofrutticolo. CIA Puglia, inoltre, propone di rimodulare immediatamente i negoziati europei con i paesi extra europei, contingentando le importazioni per quantitativi e per periodi limitati nell’anno. L’organizzazione sindacale degli agricoltori, inoltre, propone misure di ridurre l’Iva al 2% su tutti gli articoli inerenti il comparto agricolo (teli plastici, pali, fitofarmaci, carburanti e altri mezzi tecnici di produzione), ridurre del 50% il costo dei contributi previdenziali e assistenziali per i CD/IAP e per la manodopera. “Occorre, infine, ridurre l’Iva sulle vendite all’1%”.