Quelle 'massare' salentine che cucinavano con amore nel libro di Giuseppe Petracca
FRANCESCO GRECO - Lo scarto filologico e semantico tra massaia e “massara” è
abissale. Anche in senso temporale. Fra l’una e l’altra corre
un secolo.
La massaia è la donna di oggi che riempie il carrello al centro commerciale, spesso senza guardare nè le etichette e manco i prezzi. Cucina per due-tre persone.
La “massara” invece è la donna che reggeva la famiglia nell’altro secolo, autorevole, infaticabile, creativa, protagonista di un matriarcato sottinteso che reggeva l’architettura della famiglia, della società e della nazione.
“Figure iconiche”, ogni giorno dell’anno dovevano sfamare il marito e una prole ben numerosa, e dovevano ingegnarsi a farlo. Tutto era a portata di mano: il km zero non è invenzione di oggi. Demetra, la dea della terra, era loro propizia. Trovavano tutto nella terra mai abbastanza ringraziata, che in cambio chiedeva solo amore e fedeltà.
I legumi si coltivavano nella poca terra “rubata” alle pietre, le verdure spontanee erano ovunque, il latte della capra o la mucca, le uova delle galline del pollaio. Così i nostri padri e le nostre mamme sono cresciuti sani e forti.
Non saremo loro mai grati abbastanza per i cromosomi altrettanto sani e forti che ci hanno donato. Tutto questo mondo tenuto magicamente insieme da una misteriosa energia e questa umanità che pulsava viva e ricco di sentimento ieri, rivive in “La cucina delle massare salentine”, di Giuseppe Petracca, Editore Grifo, Lecce 2022, pp. 118, euro 13, un pochi mesi giunto alla seconda edizione e adesso in traduzione per il mercato straniero da parte della prof. di inglese Gina Zaccaro.
Si tratta, in tutta evidenza, di un appassionato quanto rigoroso lavoro di ricerca sui territori presso le ultime fonti autentiche in vita dei piatti della cucina povera dell’altro secolo, quando occorreva industriarsi per mettere in tavola qualcosa ai propri cari: pane, amore e fantasia.
L’autore ha un passato di barista e pasticciere e un presente di chef presso l’agriturismo “Serine”. Adesso nei panni del ricercatore ha auto un’idea geniale: fermare il tempo appuntando quel che si mangiava nel tempo passato, quando ancora nessuno sospettava il fast food, il cibo spazzatura, la cucina gourmet, vegana e altre deviazioni dal sapore, dall’amore, dai tempi lenti (“Ci sono luoghi magici dove il silenzio racconta…”), dalla passione dello stare ogni giorno davanti al fuoco per preparare da mangiare.
Dai cibi passano sentimenti, emozioni, valori, condivisioni, racconti di vissuto, memoria, identità, ancoraggio alla propria terra. E infatti attraverso queste pagine, fra le “cocule salentine” e gli spaghettoni ai ricci di mare”, in senso allegorico, si intravede il mondo di ieri, la vita dura, l’architettura sociale, la filosofia del vivere. E quindi la pubblicazione ha anche una lettura sociologica, antropologica, politica e finanche una scansione poetica.
Il volume è stato presentato a Salve, Castrignano del Capo e presto andrà in tour in altre località (fra cui Santa Maria di Leuca e Roma).
La massaia è la donna di oggi che riempie il carrello al centro commerciale, spesso senza guardare nè le etichette e manco i prezzi. Cucina per due-tre persone.
La “massara” invece è la donna che reggeva la famiglia nell’altro secolo, autorevole, infaticabile, creativa, protagonista di un matriarcato sottinteso che reggeva l’architettura della famiglia, della società e della nazione.
“Figure iconiche”, ogni giorno dell’anno dovevano sfamare il marito e una prole ben numerosa, e dovevano ingegnarsi a farlo. Tutto era a portata di mano: il km zero non è invenzione di oggi. Demetra, la dea della terra, era loro propizia. Trovavano tutto nella terra mai abbastanza ringraziata, che in cambio chiedeva solo amore e fedeltà.
I legumi si coltivavano nella poca terra “rubata” alle pietre, le verdure spontanee erano ovunque, il latte della capra o la mucca, le uova delle galline del pollaio. Così i nostri padri e le nostre mamme sono cresciuti sani e forti.
Non saremo loro mai grati abbastanza per i cromosomi altrettanto sani e forti che ci hanno donato. Tutto questo mondo tenuto magicamente insieme da una misteriosa energia e questa umanità che pulsava viva e ricco di sentimento ieri, rivive in “La cucina delle massare salentine”, di Giuseppe Petracca, Editore Grifo, Lecce 2022, pp. 118, euro 13, un pochi mesi giunto alla seconda edizione e adesso in traduzione per il mercato straniero da parte della prof. di inglese Gina Zaccaro.
Si tratta, in tutta evidenza, di un appassionato quanto rigoroso lavoro di ricerca sui territori presso le ultime fonti autentiche in vita dei piatti della cucina povera dell’altro secolo, quando occorreva industriarsi per mettere in tavola qualcosa ai propri cari: pane, amore e fantasia.
L’autore ha un passato di barista e pasticciere e un presente di chef presso l’agriturismo “Serine”. Adesso nei panni del ricercatore ha auto un’idea geniale: fermare il tempo appuntando quel che si mangiava nel tempo passato, quando ancora nessuno sospettava il fast food, il cibo spazzatura, la cucina gourmet, vegana e altre deviazioni dal sapore, dall’amore, dai tempi lenti (“Ci sono luoghi magici dove il silenzio racconta…”), dalla passione dello stare ogni giorno davanti al fuoco per preparare da mangiare.
Dai cibi passano sentimenti, emozioni, valori, condivisioni, racconti di vissuto, memoria, identità, ancoraggio alla propria terra. E infatti attraverso queste pagine, fra le “cocule salentine” e gli spaghettoni ai ricci di mare”, in senso allegorico, si intravede il mondo di ieri, la vita dura, l’architettura sociale, la filosofia del vivere. E quindi la pubblicazione ha anche una lettura sociologica, antropologica, politica e finanche una scansione poetica.
Il volume è stato presentato a Salve, Castrignano del Capo e presto andrà in tour in altre località (fra cui Santa Maria di Leuca e Roma).