Agricoltori pugliesi resistenti alla transizione ecologica: preferenza per il modello tradizionale

BARI - Gli agricoltori e allevatori della Puglia mostrano una scarsa disponibilità verso riforme orientate alla transizione ecologica. Questo è il principale risultato emerso dai questionari condotti dal Centro di assistenza agricola (Caa) dell'Unsic, con 105 sedi nazionali, e diffusi nell'ambito di una ricerca per una tesi di Master in Food Law presso l’Università Luiss. Coordinata dall'agronoma Daniela Torresetti del Masaf, l'indagine ha raccolto risposte da operatori di tutta Italia, con una particolare evidenza della riluttanza dei pugliesi rispetto a norme ambientali più stringenti.

Il questionario ha esplorato diversi aspetti, tra cui l’età, il tipo di produzione e l’atteggiamento degli agricoltori riguardo al cambiamento climatico. In Puglia, la maggioranza preferisce mantenere lo status quo (percentuale più alta rispetto alla media nazionale), dimostrando una scarsa apertura verso pratiche innovative come il biologico o le energie rinnovabili.

Il campione è composto prevalentemente da agricoltori (78,9%), con una minoranza di allevatori (21%) e viticoltori (13,7%). Le aziende agricole continuano a preferire un modello di produzione tradizionale (78,2%), mentre solo il 3,2% pratica il biologico. I rispondenti sono principalmente agricoltori tra i 40 e i 60 anni, seguiti da ultrasessantenni e solo una minoranza di giovani under 40.

La resistenza al cambiamento si riflette anche nell'approccio alla crisi climatica. Il 45,2% degli intervistati ritiene che la propria attività contribuisca poco alla mitigazione del cambiamento climatico, mentre solo il 43,1% è convinto di avere un impatto significativo. Inoltre, una netta maggioranza (71,8%) desidera meno regole ambientali.

Secondo Torresetti, l'orientamento conservatore degli agricoltori pugliesi, se da una parte ha garantito la continuità delle tradizioni, dall’altra rappresenta ora un ostacolo per la transizione verso modelli produttivi più sostenibili e innovativi. La soluzione, secondo l’esperta, potrebbe essere l'adozione di produzioni biologiche o certificazioni di qualità come Dop e Igp, meno traumatiche per un settore abituato a un modello tradizionale.